Il passaggio della riforma fiscale riconcilia almeno per il momento Donald Trump e lo swamp, la palude, come lui ha spesso chiamato la Washington politica. Dopo il voto della Camera, che ha definitivamente approvato il tax bill, 224 voti contro 201, il presidente si è ritrovato nel South Portico della Casa Bianca insieme ad alcuni repubblicani. Lui ha salutato il “grande, grande giorno”, quello della tanto attesa riduzione delle tasse; repubblicani come Orrin Hatch hanno detto che Trump si sta rivelando come “uno dei più grandi presidenti della storia”, mentre il leader del Senato Mitch McConnell ha lodato “lo straordinario risultato”. La banda dei marines, intanto, suonava i canti di Natale.

Solo il tempo, solo i prossimi mesi, diranno se il presidente e i repubblicani hanno avuto ragione. La riforma fiscale era, per Trump e i repubblicani, assolutamente necessaria. Si tratta infatti del primo, vero risultato legislativo di questa amministrazione, dopo una serie di imbarazzanti sconfitte al Congresso – prima fra tutte, quella sull’Affordable Care Act. L’indagine dello special counsel Robert Mueller, l’incriminazione di uomini come Michael Flynn e Paul Manafort, hanno reso il clima politico ancora più convulso e difficile. Una vittoria legislativa importante, come quella sulla riforma delle tasse per gli americani, non era quindi solo importante. Era imprescindibile.

Ciò non toglie che il futuro politico di Trump sia comunque di difficile previsione. Il presidente e i repubblicani sperano che questa riforma consolidi anzitutto la base conservatrice in vista delle elezioni di midterm. Al cuore dei propri elettori, Trump e il G.O.P. offrono tasse più basse, la nomina di giudici conservatori, la cancellazione di molte regolamentazioni e la battaglia per limitare l’entrata di stranieri negli Stati Uniti. Il fatto che in questa riforma fiscale ci sia anche una norma che annulla l’obbligatorietà del mandato sanitario – previsto dall’Obamacare – può essere sbandierato come un ulteriore successo da parte di Trump che avrebbe finalmente fatto crollare dall’interno l’odiato sistema sanitario architettato dal precedente presidente.

Questo è dunque il messaggio con cui Trump e i repubblicani sperano di arrivare alle elezioni di midterm del prossimo novembre – e vincerle. E’ un messaggio che promette espansione economica, lavoro e una rivoluzione conservatrice sui valori. Non a caso un politico repubblicano che negli anni Novanta fu tra i protagonisti di un’altra rivoluzione conservatrice, Newt Gingrich, ha detto che “questa è stata una settimana straordinaria… il trumpismo, alla fine, si è dimostrato per quello che è, cioè la garanzia di più posti di lavoro”. Mettendo insieme smantellamento dell’Obamacare e lotta all’immigrazione – i temi più sentiti dalla sua base conservatrice – con tasse più basse e deregolamentazione – materie su cui è sensibile il tradizionale establishment repubblicano – Trump spera di ridare energia, e durata, alla sua avventura politica.

Esistono però, come si diceva, alcune incognite. Anzitutto, la percezione di questa riforma fiscale. Un sondaggio Quinnipiac University dello scorso 13 dicembre mostra che solo il 16 per cento degli americani crede che questa riforma abbasserà davvero le tasse. Il 55 per cento degli intervistati ha un’opinione negativa della nuova legge e il 46 per cento dice che con ogni probabilità non voterà per un deputato o senatore che l’ha sostenuta. Il carattere decisamente orientato a favore di imprese e ricchi della riforma – che porta dal 35 al 21 per cento la corporate tax, taglia la tassa di successione e abbassa le imposte soprattutto per gli americani più abbienti – non è dunque passato inosservato alla maggioranza degli americani. Tanto più che mentre i tagli per i singoli sono destinati a scadere nel 2025, quelli per le imprese diventano definitivi.

Una prima sfida, per l’amministrazione USA, riguarda dunque il modo in cui la riforma verrà “venduta” e percepita. Se passa l’idea che si tratti non “della più straordinaria rivoluzione fiscale degli ultimi trent’anni”, ma di un enorme regalo ai ricchi, Trump e i repubblicani sono nei guai. Potrebbe del resto non trattarsi di una semplice percezione. Il “Center for American Progress” ha calcolato che Donald Trump risparmierà personalmente, grazie alla sua riforma, 15 milioni di dollari all’anno. Ugualmente beneficiati dalla nuova legge sono altri milionari presenti nell’amministrazione: Wilbur Ross, Linda McMahon, Betsy DeVos, Steven Mnuchin, Rex Tillerson. Il rischio che la “rivoluzione fiscale” sia intesa come un vantaggio personale di chi l’ha progettata è alto.

Esiste poi un dato prettamente economico. Il presidente e il G.O.P. credono che la nuova legge farà da volano allo sviluppo e alla crescita dei posti di lavoro. “La nostra economia crescerà di 4 punti il prossimo anno” ha spiegato il direttore del National Economic Council, Gary D. Cohn. La previsione dunque è che questa crescita riuscirà non soltanto a pagare i costi della riforma fiscale – intorno ai 1500 miliardi di dollari – ma che darà un ulteriore impulso in termini di ricchezza e lavoro. Le previsioni di altri non sono però così rosee. Goldman Sachs prevede una crescita del 2,5 per cento nel 2018, con una discesa all’1,8 per cento nel 2019. Gli effetti della riforma, hanno spiegato gli analisti della banca in uno studio recente “appaiono minimi nel 2020 e oltre, e potrebbero essere alla fine anche leggermente negativi”. E se la reazione dei mercati all’approvazione della legge è stata entusiastica – ci sono imprese come AT&T che hanno promesso bonus da 1000 dollari ai loro dipendenti per festeggiare il taglio alle tasse – ci sono voci che invitano alla prudenza. Il deficit potrebbe continuare ad allargarsi. E, dopo un piccolo miniboom, potrebbero subentrare delusione e recessione, come successe dopo i tagli fiscali di Ronald Reagan nel 1981 e di George W. Bush nel 2003.

Su tutto però, ovviamente, domina un’altra considerazione, che non ha a che fare con la politica o con l’economia, ma con la giustizia. Su questo primo, indubbio successo legislativo di Trump continua infatti ad aleggiare lo spettro dell’inchiesta del Russiagate. Nuovi sviluppi giudiziari – per esempio l’incriminazione del genero di Trump, Jared Kushner, di cui a Washington si parla da tempo – potrebbero sopire gli entusiasmi e rendere sempre più precario e accidentato il percorso di questa amministrazione.

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