Si vedono già con sempre maggiore frequenza in giro (in America ma anche da noi) articoli o commenti che approvano, o perlomeno giustificano, l’operato di Donald Trump, lanciatissimo a proseguire il suo incredibile programma di riforme senza capo né coda, un giorno impostato a recuperare consensi cercando di realizzare qualcuna delle sue allucinanti promesse fatte in campagna elettorale, il giorno seguente impegnato a smantellare qualcosa faticosamente costruito dai suoi predecessori. Il tutto nell’assurda e illogica convinzione che le sue improvvisazioni economiche o geo-politiche possano davvero funzionare a risolvere problemi che statisti di ben altro spessore politico e culturale avevano invece dovuto lasciare in “parcheggio” confidando in una evoluzione naturale che spesso solo i tempi lunghi riescono a risolvere senza creare strappi sanguinosi nel confronto ideologico diretto.

L’esempio di questi giorni, con la decisione di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme che, come era perfettamente prevedibile, ha immediatamente provocato la rivolta dei palestinesi, è un’altra delle sue improvvisazioni usata a dimostrare che basta un po’ di coraggio e di virile decisionismo a risolvere questi (per lui) pseudo-problemi lasciati in eredità da leader deboli.

Ma lui conferma ad ogni occasione la sua particolare natura e non è minimamente turbato da quello che può succedere. I grandi condottieri del passato non si sono mai preoccupati di “rompere le uova” se in mente avevano la realizzazione di una buona “frittata”.

Può essere, ma i grandi condottieri prendevano queste decisioni dopo aver definito una precisa strategia e valutando bene i rischi, non avvalendosi semplicemente di un bellicoso e pericoloso decisionismo la cui utilità è solitamente indirizzata più a soddisfare l’immenso ego di chi se ne serve piuttosto che a sviluppare complicate strategie.

Benché questa ipotesi si attagli perfettamente al personaggio ci potrebbe essere però una ipotesi più seria, ma inconfessabile, anch’essa perfettamente applicabile al personaggio: quella cioè di un’altra (tra le molte ormai) provocazione in aree già interessate da tensioni geo-politiche. Non si deve dimenticare infatti che gli Stati Uniti sono il più grande fabbricante d’armi del mondoIl mercato globale delle armi è coperto infatti per circa il 60% proprio da Usa (35%) e Russia. Ma importanti quote hanno anche Cina, Russia, GB, Francia, Germania e Italia.

Vogliamo quindi davvero sorprenderci se uno come Trump va prima in Arabia Saudita a firmare contratti miliardari di forniture belliche e poi va in Medio Oriente a soffiare sul fuoco delle provocazioni?

Probabilmente in Medio Oriente, Israele a parte, sono più i mercanti d’armi europei a guadagnarci, ma considerando che il suo gioco “sotterraneo” di sconvolgimento di tutti i precedenti equilibri economici e geo-politici sta creando tensioni ovunque nel mondo è prevedibile che da qualche parte la “fiammella” potrebbe presto o tardi diventare un incendio, con conseguenze forse gravissime.

Tra l’altro non si può nemmeno ignorare che, dato il già scarso consenso popolare in capo attualmente a Trump, consenso destinato a ridursi ulteriormente e rapidamente a causa delle scellerate riforme che lui sta attualmente attuando (appoggiato pienamente da un Congresso a forte maggioranza repubblicana).

La riforma fiscale per esempio che taglia le tasse un po’ a tutti, ma di più ai ricchi. Lui ne copre il costo tagliando sanità e sussidi di ogni genere al ceto medio, già tartassato dal costo della “Grande Recessione” del 2008. Questo provocherà inevitabilmente tensione anche interna e un probabile voto di protesta nelle elezioni di medio-termine del prossimo autunno, quando il partito repubblicano (nel quale milita Trump anche se solo per convenienza) potrebbe perdere la maggioranza in almeno uno dei due rami del Congresso. Dato che per ora le probabilità di impeachment, salvo prove schiaccianti, sono scarsissime (attualmente il Congresso e la Corte Suprema sono tutti con buona maggioranza a suo favore) le elezioni 2018 potrebbero sconvolgere questo equilibrio e rendere in questo caso ancor più probabile l’ingresso diretto degli Usa in qualche conflitto regionale di media portata (con un popolo fortemente nazionalista come quello americano, e un industria bellica leader nel mondo, è difficile resistere a certe tentazioni).

Se mettiamo nel conto anche i guasti che potrebbero nascere dalle sconclusionate e avventuristiche politiche economiche trumpiane, che sta cancellando tutte le deboli riforme di Obama per tornare ad un iper-liberismo economico senza controlli, potremmo molto presto ritrovarci a fare i conti con un’altra terribile recessione globale.

Ma, concludendo, occorre anche considerare che, se oggi è Trump il primo attore, il bastone del comando glie lo ha dato democraticamente proprio il suo popolo. Vedremo tra meno di un anno se è già pentito o no di quella scelta (sperando ne abbia il tempo).

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