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Roma, restituito ai Mattiani il Grand Hotel Gianicolo: “Non complici ma vittime dei clan”

Pur non essendo mai stato condannati per reati di ‘ndrangheta, secondo gli inquirenti gli imprenditori calabresi sarebbero stati contigui alla cosca Gallico, da anni impegnata in numerose operazioni immobiliari tra cui l’illecita acquisizione di un vasto patrimonio nel settore turistico-alberghiero
Roma, restituito ai Mattiani il Grand Hotel Gianicolo: “Non complici ma vittime dei clan”
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Non complici, ma vittime dei clan. La corte d’Appello di Reggio Calabria ha restituito agli imprenditori Giuseppe e Pasquale Mattiani il loro patrimonio che era stato prima sequestrato e poi confiscato perché gli indagati erano ritenuti vicini alla cosca Gallico di Palmi. Tra i beni tornati in possesso degli imprenditori calabresi anche lo storico Grand Hotel Gianicolo, il lussuoso albergo di Roma che si trova in via delle Mura Gianicolensi.

Pur non essendo mai stato condannati per reati di ‘ndrangheta, secondo gli inquirenti i Mattiani sarebbero stati contigui alla cosca Gallico, da anni impegnata in numerose operazioni immobiliari tra cui l’illecita acquisizione di un vasto patrimonio nel settore turistico-alberghiero. Operazioni che sono iniziate negli anni ’90, quando un piccolo motel della periferia di Palmi, l’hotel Arcobaleno (oggi diventato un residence e anche questo restituito agli imprenditori) si è trasformato in una società dal capitale miliardario che poi è stata suddivisa (in quote da 250 milioni di vecchie lire) tra i figli appena ventenni di Giuseppe Mattiani.

In vista del Giubileo del 2000, Mattiani acquista in cambio di 11 miliardi di vecchie lire un ex monastero sito in uno dei posti più belli della capitale, il colle Gianicolo, di proprietà di una congregazione religiosa, per trasformarlo nel Grand Hotel Gianicolo che è stato sequestrato nel 2013 assieme ad altri 42 immobili tra Roma, Castiglione dei Popoli e Palmi. Un impero che, se sommato ai rapporti bancari e alle quote della società cooperativa Full Service, raggiunge i 36 milioni di euro.

Secondo la dda di Reggio Calabria, però, l’imprenditore di Palmi era riuscito a essere titolare di quell’enorme patrimonio perché inquadrato “nell’alveo dei soggetti portatori di una pericolosità sociale qualificata in quanto gravemente indiziato di appartenenza alla ‘ndrangheta”. Tesi che, nel processo d’Appello, gli avvocati Domenico Alvaro e Giuseppe Milicia hanno smontato attraverso consulenze tecniche e documenti contabili relativi alle società dei Mattiani che ha pure subito un’estorsione dalla cosca Gallico. Leggendo, infatti, la sentenza del maxi-processo “Cosa Mia” alla famiglia mafiosa di Palmi, è emerso come tre esponenti della cosca Gallico abbiano costretto gli imprenditori Mattiani “a rinunciare alla metà della somma dovuta quale corrispettivo per il ricevimento di un matrimonio” organizzato nell’hotel-residence “Arcobaleno”.

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