Dopo il mio post sulle cosiddette fake news, un’attenta lettrice mi ha segnalato un “esperimento”, seguito da un paio di articoli pubblicati su La Stampa.

A una “famiglia media” è stato misurato nelle urine il livello di tre fitofarmaci (la definizione negli articoli è “pesticidi”), all’inizio dello “studio” e dopo due settimane di “alimentazione bio”, concludendo che tale dieta permetterebbe di “disintossicare” l’organismo. Il cosiddetto “esperimento”, pubblicato sui social media e su Youtube, semplicemente non dimostra nulla. Innanzitutto, non c’è motivo di dubitare che le analisi siano state eseguite dal laboratorio incaricato nel modo più rigoroso possibile. Il problema è che il cosiddetto “esperimento” prende in esame solo tre “pesticidi” (ne sono stati analizzati di più?), solo quattro soggetti (ha partecipato un numero maggiore di persone?) per un periodo di tempo breve (solo due settimane). Nei gruppi piccoli le fluttuazioni casuali sono davvero rilevanti. È una criticità ben nota, già utilizzata per dimostrare provocatoriamente che così si può sostenere una tesi qualsiasi (e ingannare i mezzi d’informazione), compresa quella che il “cioccolato fa dimagrire”.

L’idea di studiare gruppi “piccoli” e per tempo limitato è una delle strategie maggiormente sfruttate dalle industrie farmaceutiche senza scrupoli quando vogliono vendere medicinali inutili e dannosi. Qualsiasi test clinico serio deve indicare gli obiettivi e il numero di soggetti da reclutare prima di effettuare lo studio, proprio per evitare che i risultati “sgraditi” possano eventualmente essere eliminati. Registrare cinque risposte a un certo trattamento è un dato poco utile senza indicare il totale dei pazienti trattati. Un conto è se fossero stati sei, e un altro con cento.

Un altro aspetto problematico è il “confronto con la media”. Nel cosiddetto “esperimento” i primi risultati consegnati alla famiglia sono i livelli dei valori di fitofarmaci nelle loro urine confrontati con una “linea gialla” assunta a “valore di riferimento”. Approfondendo, apprendiamo che questo numero è la “media della popolazione di riferimento, calcolato sulla popolazione tedesca e danese” (il laboratorio che ha eseguito l’analisi è a Brema). Se la temperatura di un luogo è di 20 gradi, ha senso affermare che sia più caldo o più freddo della “media”? È caldo se fossimo in pieno inverno a Trento, è molto freddo se invece fossimo a Palermo d’estate. La comparazione con “valori di riferimento” avrebbe un qualche significato con un gruppo di persone (numeroso) che vivono nello stesso luogo e hanno alimentazione simile.

Inoltre, è proprio il concetto di confronto con la media ad essere fallace. Il raffronto sensato sarebbe misurare la quantità di un composto chimico rispetto a una soglia con significato patologico, non certo la “media”. Ci sarà inevitabilmente una parte della popolazione “sopra” e “sotto” la media! Grazie ai progressi della chimica analitica, i livelli rilevabili di composti chimici sono spesso bassissimi, molto al di sotto di una soglia che possa causare un qualsiasi danno. Avevamo già discusso questo concetto qui, spiegando ad esempio che è possibile rintracciare tracce di mercurio in qualsiasi campione, compresi i vaccini, senza che questo significhi nulla. Mostrare “preoccupazione” alla semplice presenza di una data sostanza chimica è un comportamento analogo a quello degli antivax che spacciano falsità sui “vaccini inquinati”.

Ci sarebbero molte altre criticità, ma possiamo fermarci qui: non c’è semplicemente nessuna conclusione affidabile che si possa trarre da questi dati. A partire da quella suggerita nel titolo dell’articolo de La Stampa, “Due settimane di dieta bio, e i pesticidi nell’organismo spariscono”. Paradossalmente, se affermassi che non c’è più sangue nelle urine, qualcuno concluderebbe che il sangue è “scomparso” dall’organismo?

Infine, i video sono realizzati anche in modo un po’ maldestro dal punto di vista comunicativo. Chi mai va in giro vestito con magliettina e calzoncini corti per Roma a novembre?

È sicuramente apprezzabile che una “famiglia media” si impegni in una battaglia seria come quella nella difesa dell’ambiente. Premetto che abitando in un piccolo centro, preferisco i prodotti alimentari locali a chilometro zero (non sono esattamente biologici, ma sicuramente a minor impatto ambientale di quelli della grande distribuzione). Mi dispiace un po’ sbufalare qualcosa supportato da associazioni che hanno sostenuto iniziative apprezzabili come il Wwf, Legambiente e la Lipu.

Ma questa campagna sembra semplicemente uno spot promozionale per il cibo biologico. In fondo, potrebbe apparire come un peccato veniale. La pubblicità però dovrebbe essere sempre separata in modo chiaro dalle notizie. Qui sul Fatto di annunci ce ne sono davvero tanti (servono per supportare il giornalismo di qualità), ma sono però ben distinguibili dagli altri contenuti, non sono nella sezione “Scienza e Ambiente”. Nessuno penserebbe mai che l’asteroide del Buondì Motta esista realmente e solo i miei colleghi fisici direbbero “quello è un meteorite e non un asteroide”. Il problema nasce quando si utilizzano termini come “esperimento”, lasciando al lettore distratto il dubbio che quello descritto possa essere davvero una sperimentazione.

Le uniche bufale buone sono quelle della mozzarella. Il risultato delle cosiddette “bugie innocenti” è che chi le racconta e chi le ospita perde credibilità. Individui privi scrupoli e ben più pericolosi, sfruttando meccanismi argomentativi simili, possono poi spacciare fandonie molto più dannose, specialmente nel campo della salute.

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