Si trovano agli arresti domiciliari Paul Manafort, l’ex capo della campagna elettorale di Donald Trump, e il suo ex socio in affari Rick Gates. Si dichiarano non colpevoli per nessuno dei capi d’accusa per i quali sono comparsi davanti al giudice federale di Washington nell’ambito dell’inchiesta sul Russiagate. In tutto sono dodici quelli per i quali sono imputati nell’ambito del Russiagate: c’è anche la “cospirazione contro gli Usa” alla quale si aggiungono evasione fiscale, il non essersi registrati come agenti di uno Stato straniero, aver fatto dichiarazioni false e fuorvianti, riciclaggio e omessa denuncia di conti su banche straniere. Sui loro conti offshore sono transitati oltre 75 milioni di dollari. Il solo Manafort ne avrebbe riciclati oltre 18 e ora, secondo i media, rischia fino a 80 anni di carcere, 70 Gates. Senza contare le multe multimilionarie. Entrambi si sono consegnati stamattina nella sede dell’Fbi di Washington. Una svolta netta nell’inchiesta condotta dal procuratore speciale Robert Mueller: per la prima volta finiscono agli arresti due ex membri della squadra elettorale del presidente.

Trump: “Sono cose relative ad anni fa”. Ma non è così – Il capo della casa Bianca, su Twitter, minimizza e prende le distanze da un eventuale coinvolgimento. Precisa che le accuse rivolte a Manafort riguardano “cose relative ad anni fa, prima che facesse parte della campagna” elettorale. Specifica che “non c’è stata collusione” fra la sua corsa elettorale e la Russia.

E ancora sul sito di microblogging scrive: “Ma perché il focus non sono la corrotta Hillary e i Dem????”. Ma a smentire il presidente Usa sono i capi d’accusa. Secondo il procuratore Mueller, Manafort e il suo socio avrebbero cospirato contro gli Usa in un periodo compreso tra il 2006 e il 2017. Gli episodi includono anche attività di riciclaggio avvenute fino allo scorso anno e il fatto di avere dichiarato il falso agli inquirenti dopo aver concluso la sua opera di lavoro per la campagna elettorale. La Casa Bianca non ha ancora commentato ufficialmente la vicenda.

La confessione dell’ex volontario – Un quadro che per l’amministrazione guidata dal miliardario newyorkese si complica con la confessione di George Papadopolous, ex collaboratore volontario della campagna, che si è dichiarato colpevole per aver reso false dichiarazioni all’Fbi nell’ambito delle indagini. Papadopolous ha mentito ai federali “sui tempi, l’estensione e la natura dei suoi rapporti e della sua interazione con certi stranieri che aveva capito avere strette connessioni con alti dirigenti del governo russo”. E in una email del marzo 2016, propose di organizzare un incontro tra dirigenti russi e dirigenti della campagna di Trump, con l’oggetto “Incontro con la leadership russa, incluso Putin“. La proposta fu però respinta dallo stesso Manafort, secondo un suo portavoce.

L’indagine su Paul Manafort – Manafort si è consegnato alle 8.15, ora locale. Finito da subito nel mirino del procuratore Mueller per i suoi sospetti contratti di consulenza con l’ex presidente filorusso ucraino Viktor Yanukovych, l’ex manager della campagna di Trump ha in precedenza negato ogni irregolarità nei pagamenti ricevuti da Kiev, o nei conti aperti in paradisi fiscali offshore né nelle diverse transazioni immobiliari, che hanno anche attirato l’attenzione della polizia federale. A compromettere la sua posizione sarebbero stati i documenti emersi da un libro paga segreto del Partito delle Regioni, che provano come la società di consulenze di Manafort ha ricevuto oltre 12 milioni dal partito filorusso tra il 2012 e il 2014.

Un segnale del fatto che l’attenzione degli inquirenti si stava concentrando intorno a Manafort era arrivato lo scorso 26 luglio quando, all’indomani quindi della sua deposizione, a porte chiuse, di fronte alla Commissione intelligence del Senato, agenti dell’Fbi avevano condotto un plateale blitz all’alba nella sua casa di Alexandria per sequestrare documenti ed altro materiale. Oltre alle interferenze russe con le elezioni, e le possibile collusioni con il governo russo, Mueller ha anche il compito di indagare su possibili azioni condotte dall’amministrazione per intralciare il corso della giustizia, in particolare riguardo al licenziamento del direttore dell’Fbi James Comey.

Mosca: “Accuse a Manafort servono per le prossime elezioni” – Le accuse a Manafort “non hanno nulla a che vedere con la Federazione russa“, ha affermato in un intervento alla televisione di stato la portavoce del ministero degli esteri Maria Zakharova, denunciando che le incriminazioni rientrano nello scontro politico in corso a Washington e le imprecisioni dell’atto, in cui, ha detto, si cita Yulia Tyymoshenko come ex presidente dell’Ucraina (era stata invece premier). “Non importa (se Manafort promuovesse gli interessi di Putin con la sua attività di lobby in favore di Viktor Yanukovich, ndr), non interessa a nesssuno. E’ tutto diretto all’opinione pubblica interna in vista del prossimo ciclo elettorale, ha aggiunto. “C’è sempre bisogno di un fattore esterno, hanno sempre bisogno di un nemico esterno”, ha sottolineato.

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