Via i panni della Grosse Koalition e delle argomentazioni moderate, sì al nuovo look con camicia e gel, nazionalismo e chiusura delle frontiere. Così, in pochi mesi, Sebastian Kurz ha riportato il Partito popolare austriaco in testa ai sondaggi e si prepara alle elezioni di domenica 15 ottobre: il giorno in cui, salvo clamorose sorprese, diventerà cancelliere d’Austria e più giovane leader d’Europa ad appena 31 anni. Oltre i confini tutti vedono in lui il “nuovo Macron”, per il modo in cui ha scalato e stravolto il suo partito, trasformandolo di fatto in un movimento devoto al suo leader. In patria invece il soprannome è più sottile: “Wunderwuzzi”, colui che tutto può, compreso preparare l’alleanza con l’ultradestra e rubare il consenso dei suoi elettori.

Kurz è riuscito a portare il suo Övp dalla depressione del 20% al 34% degli ultimi sondaggi. Solo in primavera, prima che prendesse il controllo del partito approfittando delle lotte interne, la situazione in Austria era ben diversa: l’Fpö nazionalista di Heinz-Christian Strache e Norbert Hofer sembrava avviata verso una vittoria netta e tranquilla, in testa ai sondaggi davanti al centrosinistra. Il giovane leader ha però cambiato le carte in tavola muovendosi su due fronti: da una parte ha svecchiato il suo partito, dall’altra ha salutato i socialdemocratici, storici alleati dal dopoguerra ad oggi, e si è appropriato delle tematiche dei nazionalisti dell’ultradestra. Un po’ Macron, un po’ “Wunderwuzzi”, appunto.

Kurz in Austria è diventato un’icona e ha ritagliato la campagna elettorale dei cristiano-democratici intorno alla sua figura da star. Ha riempito i palazzetti come un cantante, scattato selfie con i più giovani e fotografie abbracciato agli anziani. Tra i candidati è il re indiscusso di Twitter e conta più di 700mila seguaci su Facebook, dove posta immagini e video, come quello in cui scala una montagna di notte e all’alba ammira dalla vetta il paesaggio dell’Austria, “il Paese più bello del mondo, da guidare nuovamente verso la cima”.

Nei suoi post c’è spazio per la retorica nazionalista, ma mai per riferimenti al suo partito. Il motto è sempre lo stesso: “Es ist Zeit” – “è il momento” -, così simile per stile e concetto all’En Marche di Macron. La camicia bianca, il sorriso sicuro e i capelli tirati all’indietro con il gel servono a ricordare a tutti la sua giovane età, ancor più rimarcata rispetto a quanto faceva l’attuale leader dell’Eliseo. Un’altra differenza: Macron è sposato e laureato, mentre Kurz – che ha mollato giurisprudenza – appena qualche anno fa, da sottosegretario 24enne, era conosciuto come il “Geil” (il figo) che se andava in giro tra le università con macchine sportive e belle ragazze per attirare il voto dei giovani.

Sui social i suoi capelli impomatati sono diventati appunto il tema preferito di meme e sfottò. Ma intanto hanno contribuito ad accrescere la fama del personaggio Kurz che, in questo caso proprio in stile Macron, è riuscito allo stesso tempo a presentarsi come la novità ma anche come la parte moderata, l’argine ai populisti che pure si porterà probabilmente in coalizione. Lo ha rimarcato per l’ennesima volta nell’ultimo testa a testa televisivo avuto con il leader dei nazionalisti Strache, bacchettandolo per le sue simpatie verso Alternative fur Deutschland e Marine Le Pen, ma anche ricordandogli che un conto è “evidenziare i problemi”, un conto è trovare “effettive soluzioni”.

Nel confronto andato in onda sulla seconda rete nazionale austriaca (Orf2), Strache non ha fatto altro che ricordare, come va in giro dicendo da settimane, che Kurz ha “fotocopiato” il programma elettorale dell’estrema destra. Da quando a 28 anni è diventato ministro degli Esteri, il leader del partito popolare ha effettivamente cominciato la sua virata nazionalista e xenofoba. La protezione delle frontiere, a partire dal Brennero, è diventata uno dei suoi mantra insieme al rilancio dell’economia nazionale. Ma già prima rivendicava con entusiasmo la chiusura della rotta balcanica a marzo 2016, grazie al suo lavoro in collaborazione con il premier ungherese Viktor Orban. Ha criticato la “follia delle ong” nel Mediterraneo e promesso che il prossimo passo sarà la chiusura anche di quella rotta. Con l’obiettivo finale, caro anche ai politici italiani, di “aiutare i migranti a casa loro”.

Se Strache e l’ultradestra sono rimasti spiazzati dal saccheggio operato dai moderati sui loro argomenti forti, l’Spö del cancelliere Christian Kern ha provato a seguire il trend: in estate ha mandato l’esercito al Brennero, poi ha varato un provvedimento che prevede lo stato di emergenza nel caso di boom di profughi. Fino all’ultima legge che vieta di girare con il volto coperto, quindi con burka e niqab. Passi verso destra che però non sono serviti a frenare la leggera ma costante caduta nei sondaggi, dove ora i socialdemocratici sono dati intorno al 25%, al pari dell’ultradestra.

A rischiare di affondare l’Spö c’è poi lo scandalo Tal Silberstein. Il consulente israeliano aveva ideato una campagna elettorale segreta, basata su due pagine Facebook contro lo sfidante Kurz. Post con video e fotomontaggi che accusavano il giovane candidato di aver avvelenato le uova col Fipronil, di favorire l’invasione di profughi, di far parte di un complotto della finanza ebraica guidato dal miliardario Georg Soros. Venuta alla luce la macchina del fango, il segretario generale dei socialdemocratici, Georg Niedermühlbichler, si è dimesso sabato scorso. Le conseguenze in termini elettorali potrebbero però essere molto più pesanti e dare ulteriore vantaggio a Kurz, uscito ancora più rinforzato dallo scandalo, a cui ha sapientemente dedicato la maggior parte dei suoi interventi negli ultimi Elefantenrunde, i dibattiti televisivi tra i candidati.

Così, il 15 ottobre, la parabola dell’enfant prodige della politica austriaca toccherà già il punto più alto, con l’elezione a cancelliere. E, sempre se non vi saranno sorprese, al governo di Vienna ci sarà una coalizione tra popolari e liberali xenofobi. Un ritorno all’alleanza nero-blu del 2000, quando Bruxelles fece finire l’Austria nella “quarantena”. Allora Kurz aveva meno di 15 anni e gli Stati europei non erano ancora alle prese con crisi, profughi, ritorno dell’ultradestra e giovani leader.

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