Non c’è estate, per gli assassini del Califfo: non vanno in vacanza, i soldati del sedicente e ormai sbrindellato Stato islamico. Anzi, in rotta a Mosul e a Raqqa, senza più territori da difendere, o città dove arroccarsi, i foreign fighters tornano a casa, o rinunciano a partire, e fanno così crescere la minaccia in Europa: si sapeva che la frustrazione delle sconfitte tra Iraq e Siria alzava il rischio altrove.

Che il calendario del terrore segni in rosso sangue le nostre feste – il Natale di Berlino, il Capodanno di Istabul– o le ricorrenze e i luoghi simbolo – il 14 luglio di Nizza, Westminster a Londra – era già tragicamente noto. Che i veicoli lanciati sulla folla siano divenuti l’arma elettiva – basso costo ed elevata efficacia, senza la necessità di procurarsi armi e di fabbricare esplosivi e senza neppure bisogno a priori di kamikaze – era pure drammaticamente noto.

Ma gli eventi catalani delle ultime 36 ore, che non sono solo la mattanza sulla Rambla di Barcellona, segnalano due sviluppi importanti: il ritorno in azione di una cellula articolata, composta di almeno una decina di persone – secondo gli elementi finora disponibili -, capace di articolare e attuare piani letali e complessi e di colpire quasi contemporaneamente in luoghi diversi e distanti, come accadde la notte del Bataclan a Parigi – una situazione potenzialmente molto più pericolosa dei “lupi solitari” degli ultimi episodi -; e l’estensione alla Spagna dell’area degli attacchi, circoscritta, negli ultimi 30 mesi, a Francia, Benelux, Germania, Gran Bretagna, con sporadici episodi altrove – Svezia -, mentre gli episodi di terrore in Turchia hanno spesso matrici fra di loro diverse e solo talora riconducibili all’attacco all’Europa degli jihadisti.

Le due novità accrescono l’apprensione e, oggettivamente, avvicinano il pericolo all’Italia, che, nell’Europa un tempo “occidentale”, resta l’unico grande Paese esente da attacchi: conseguenza, certo, dell’opera di prevenzione e contrasto di intelligence e forze dell’ordine; ed effetto, anche, delle caratteristiche diverse (rispetto ad altri Paesi) della presenza islamica in Italia.

Non che gli italiani non abbiano già pagato un tributo di sangue all’offensiva jihadista in Europa: ci sono state vittime italiane a Parigi e a Berlino, soprattutto a Nizza, ora anche a Barcellona. Ma deve esserci consapevolezza – nelle autorità e nei cittadini – che il rischio di un attacco “a casa nostra” aumenta: non abbiamo una patente d’immunità.

Come l’Italia, anche la Spagna, che era già stata colpita, l’11 marzo 2004, alla stazione ferroviaria di Atocha, a Madrid, dal più sanguinoso attentato di al Qaida in Europa, ha intercettato e arrestato, o espulso, negli ultimi mesi decine o – andando indietro nel tempo – centinaia di integralisti. E, come l’Italia, anche la Spagna ha una storia di terrorismo interno che ha addestrato a prevenzione e contrasto forze di sicurezza e inquirenti. Ma non basta a evitare il peggio, non è bastato.

L’intreccio degli eventi in Catalogna è complesso ed è ancora da chiarire: un’esplosione, nella notte tra mercoledì e giovedì, ad Alcanar, inizialmente attribuita a una fuga di gas, ma che potrebbe invece essere prodromo a quanto poi avvenuto – terroristi stavano forse preparando ordigni; l’attacco con un van sulla Rambla, 13 morti, un centinaio di feriti; la fuga del terrorista alla guida e dei complici; l’arresto di almeno due persone; il giallo del marocchino di nazionalità francese e residenza spagnola che avrebbe – o no – affittato il o i furgoni (ce n’è un secondo coinvolto); l’uccisione di un sospetto a Sant-Just (che potrebbe non avere a che fare con la vicenda principale); infine, l’auto con cinque persone a bordo dotate di cinture esplosive intercettata la notte a Cambrils sulla costa catalana – uccisi tutti i presunti terroristi, feriti fra gli agenti e la gente in strada.

La successione degli episodi, non necessariamente tutti correlati, è impressionante. Inoltre, il piano di fuga attuato sulla Rambla può suggerire nuovi scenari per quanto avvenuto a Nizza e Berlino e magari anche alla movida di Londra il 3 giugno. In attesa degli sviluppi delle indagini, il brusio di giubilo sui siti dell’integralismo, al diffondersi delle notizie da Barcellona, e la rivendicazione – precoce, rispetto alla tradizione – dell’attentato fatta dal sedicente Stato islamico sono ulteriori prove che la belva ferita è più pericolosa che mai.

Barcellona e la Rambla sono simbolo di accoglienza fraternità, internazionalizzazione. Barcellona è una delle capitali, forse la capitale per eccellenza, del programma Erasmus, ogni anno luogo d’incontro di decine di migliaia di studenti provenienti da tutta Europa. Il nostro Continente, e pure l’Italia, sono fitti di luoghi analoghi: lì, l’attacco va temuto; e lì è più difficile da prevenire, se non ci si vuole arrendere a priori al nemico, militarizzando la nostra vita.

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