A Falcone, Borsellino e a tutti coloro che sono degni di questo epiteto.

In tempi nei quali corruzione e frode sono all’ordine del giorno e non solo per quanto attiene ad economia e politica, ma anche nella nostra stessa quotidianità, nelle relazioni e sul lavoro, vorrei soffermarmi su una parola di uso non così comune: impeccabile.

Se torno indietro con la memoria, impeccabile era mio padre, perfetto nei suoi abiti, appunto impeccabili, come nei suoi valori personali. Impeccabile era una delle mie insegnanti di danza dotata di una innata eleganza anche quando stava ferma che irradiava da una purezza interna.

Impeccabile era il mio professore di Filosofia e Teologia Gioacchino Molteni, grande conoscitore di Bergson e Heidegger, diritto e fiero nella rettitudine di un pensiero e di una vita. Impeccabili sono stati gli uomini morti per l’ideale di una Italia libera dalla mafia a cui ho voluto dedicare questo post.

Forse l’impeccabile non attiene al nostro tempo, così come la rettitudine sembra avere abbandonato il nostro vivere e la nostra società, poiché ciò che è impeccabile e ciò che è retto riguardano una logica interna, una sorta di autoregolazione da dentro dei propri valori e dei propri modi.

Chi è impeccabile evidentemente non commette peccato. Il punto è che cosa sia davvero il peccato. E ancora una volta sono i rizomi etimologici a venirci in aiuto. La parola “peccato” deriva dal latino peccatum che indica l’infrazione di una regola stabilita dalla comunità. Per questo tipo di peccato è prevista una pena.

Il concetto di peccato è per noi collegato alla morale giudaico-cristiana che informa il nostro contesto occidentale e il nostro inconscio collettivo. Ma qui troviamo l’inghippo. Perché né l’Antico Testamento né il Nuovo sono stati scritti in latino, ma piuttosto in aramaico e in greco, rispettivamente.

La parola greca che traduciamo con “peccato” è amartia che significa “fallire il bersaglio” o anche “sbagliare strada” o “mancare nel proprio intento”. Se fallisco il bersaglio non c’è necessità di una pena poiché sto già pagando con la perdita del mio obiettivo: tutto si gioca nella dinamica tra me e me.

La cosa si fa ancora più interessante se si considera la parola ebraica per indicare il peccato che è khedìe, parola che indica “trauma” o “blocco causato da gravi turbamenti”. Il “trauma” è qualcosa che si riscontra in più parti, cioè tanto in colui che lo provoca quanto in colui che lo subisce. Questo rende molto suggestivo il fatto che il Cristo guarisca miracolosamente da malattie irreversibili rimettendo “i peccati”, che in realtà sono i traumi e i blocchi.

Allora chi è l’individuo impeccabile? È colui che non pecca, ma nel senso che non fallisce il suo bersaglio, non manca l’intento, e che non è condizionato da blocchi e traumi né li provoca. L’individuo impeccabile risponde ad una logica interna della propria guarigione e del proprio intento.

Per questo chi è impeccabile può vivere e morire per un ideale, piuttosto che per l’approvazione degli altri, per il compenso e il plauso esterno, per il proprio interesse del momento, per la propria comodità.

Chi è impeccabile è cosciente che, anche qualora ottenesse approvazione e ricompense senza essere rimasto fedele al proprio intento e al proprio principio o avendone tratto turbamenti e perso la propria centratura, quello che avrebbe ottenuto sarebbe un successo per il mondo esterno, ma non per sé.

Perché per simili individui, per gli individui impeccabili, quel che conta è tenere fede al proprio valore interiore.

Ma forse oggi è fuori moda.

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