Il momento è arrivato. Trump e Francesco si incontrano in Vaticano. Una cautela imbarazzata segna l’atteggiamento dei collaboratori di entrambi. Perché con l’elezione di Donald sono rimaste sconvolte le reciproche percezioni tra Papato e Presidenza americana. Per la prima volta dalla Seconda Guerra mondiale Washington – non più solo Mosca o Pechino – diventa per la Santa Sede una capitale problematica. Una capitale, il cui comandante in capo non è animato da una prospettiva convergente con la Santa Sede sui problemi del pianeta (pur con legittime differenze su singole tematiche) , ma è portatore di una visione del mondo fortemente in contrasto con quella del romano pontefice e dei suoi predecessori.

E’ un’assoluta novità nei rapporti tra Vaticano e Stati Uniti. Non tocca tanto i discorsi, che Trump farà di fronte al Papa – gli scrittori dei testi della Casa Bianca, come si è visto in Arabia saudita, sono abili nel confezionare pronunciamenti ufficiali accettabili– ma riguarda la cultura di fondo del presidente statunitense , le sue concezioni su società, economia, regole e rapporti internazionali.

Francesco, per la prima volta nelle relazioni tra Vaticano e Stati Uniti, è intervenuto l’anno scorso nella campagna elettorale americana. Con sobrietà ma con segnali inequivocabili. Tornando dal Messico nel febbraio 2016 dichiarò – suscitando le ire di Trump – che una “persona che pensa soltanto a fare muri e non a fare ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo”.

L’aprile successivo dette breve udienza a Bernie Sanders, il candidato alle presidenziali più “sociale” della recente storia americana. Un socialdemocratico nella visione politica europea. Bollato come populista di sinistra dai media clintoniani e come “socialista” dai media filo-Trump: con tutto ciò che in America collega la parola “socialismo” direttamente con i gulag di Stalin. Durò solo cinque minuti l’incontro con Sanders, ma bastò per fare capire i valori di coesione sociale e di superamento delle diseguaglianze, che stanno a cuore a Francesco.

Il Papa, d’altronde, nel suo viaggio in America del settembre 2015, unanimemente salutato da democratici e repubblicani per il suo rimarchevole equilibrio nel toccare i temi più sensibili della società statunitense e dell’arena internazionale, è stato di una chiarezza esemplare. Milioni di persone, disse di fronte a Obama, sono sottoposte a un sistema che le ha trascurate. “Un gruppo di esclusi che grida al cielo e oggi bussa con forza alle nostre case, città, società. Riprendendo le sagge parole del Reverendo Martin Luther King, possiamo dire che siamo stati inadempienti rispetto a una cambiale ed ora è giunto il momento di onorarla”.

La Santa Sede non è d’accordo sulla caccia all’immigrato, che in questi mesi coinvolge negli Stati Uniti, anche contro immigrati irregolari che non hanno commesso il minimo reato. La Santa Sede considera fatale l’attacco di Trump a quell’abbozzo di sistema sanitario nazionale, che Obama aveva cominciato a costruire (con tante imperfezioni dovute alla tenace resistenza dei repubblicani e alla feroce opposizione delle assicurazioni private). Francesco, come la maggior parte dei leader europei, è in totale disaccordo con l’ostilità della nuova presidenza statunitense a regole serie per la salvaguardia del clima e del sistema ecologico.

L’idea di una riduzione massiccia delle tasse, che regala qualche spicciolo alle famiglie e fa regali milionari alle grandi imprese e ai grandi azionisti, mettendo sempre più in difficoltà i servizi pubblici per tutti i cittadini, è qualcosa che in Vaticano cozza con tutte le encicliche sociali da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI (con il suo monito sulle responsabilità etiche della finanza) a Francesco. Fu Giovanni Paolo II, dopo il crollo del Muro di Berlino, a mettere in guardia proprio in terra di Germania dal pericolo dell’affermarsi di una “ideologia capitalista radicale”. Quella di cui Trump e i suoi collaboratori sono gli alfieri.

Ma anche in tema di politica internazionale l’Atlantico si è fatto più largo tra Vaticano e Washington. La Santa Sede preme da sempre per un rafforzamento dell’Onu, disprezzata dai trumpiani.

In Medio Oriente Francesco auspica una vera cooperazione internazionale Est-Ovest per combattere l’Isis, mentre Trump oscilla tra un’apertura accennata a Putin e una coalizione dei volonterosi, a guida saudita e fieramente anti-iraniana.

Alla prudente e previdente diplomazia vaticana non possono piacere la mossa propagandistica di lanciare una superbomba tanto per dimostrare chi è il pistolero più forte. Come successo in Afghanistan il mese scorso. “Un’altra missione di successo, sono molto orgoglioso dei nostri militari”, ha twittato Trump. “Mi sono vergognato del nome dato a una bomba: ‘la madre di tutte le bombe’. Diciamo mamma a un apparecchio che dà la morte?”, ha ribattuto Francesco.
Mercoledì in Vaticano l’incontro si prevede senza dubbio cortese. Sarà l’apertura di una partita molto lunga e complessa.

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