Non solo Serravalle. La protesta contro le aperture degli esercizi commerciali nel week end di Pasqua si allarga un po’ in tutta Italia. “Serravalle è un emblema, ma il problema è nazionale”, dicono i responsabili del settore di Cgil, Cisl e Uil, compatti nella battaglia contro quella che definiscono “una deumanizzazione del lavoro”. E così dalla Puglia all’Emilia Romagna, passando per Lazio, Umbria e Toscana, sono molte le regioni in cui sono state promosse, in maniera unitaria, forme di mobilitazione. In altre (dal Veneto alle Marche, dall’Abruzzo alla Campania), i sindacati hanno promosso campagne informative rivolte non solo a chi lavorerà a Pasqua e Pasquetta, ma anche ai consumatori che in quei giorni si recheranno nei centri commerciali.

Il motivo delle proteste? La liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi inaugurate dal decreto Salva Italia, promosso dal governo tecnico di Mario Monti a fine 2011. O meglio, “la degenerazione sempre più evidente di quella liberalizzazione”, precisa Anna Maria Furlan. Spiega la segretaria generale della Cisl: “Noi ci opponemmo sin dall’inizio, in modo compatto insieme alle altre sigle, a quella misura voluta da Monti. Di anno in anno, però, la situazione  diventata ormai inaccettabile. E proprio il caso di Serravalle sta lì a dimostrarlo”.

Nell’outlet più grande d’Europa, con 240 esercizi commerciali a pochi chilometri da Novi Ligure, i malumori si sono trasformati in voglia di mobilitazione a fine febbraio, quando la direzione del centro ha imposto l’apertura anche nelle giornate di Pasqua e Santo Stefano. “Di fatto, si è arrivati all’assurdità di 363 giorni all’anno”, denuncia Fabio Favola, segretario provinciale della Filcams-Cgil di Alessandria. È stata la “totale indisponibilità al dialogo da parte dei manager”, soprattutto, a generare risentimento. Prosegue Favola: “Dopo che la decisione unilaterale è stata resa pubblica, abbiamo chiesto un incontro. Ma la direzione ce l’ha sempre negato”. L’outlet di Serravalle è gestito dalla McArthur Glen, colosso del commercio anglo-americano con base a Londra, che in Italia possiede, oltre a quello alessandrino, altri quattro centri commerciali. I responsabili locali non sembrano aver molta voglia di parlare. “La direzione ha già detto in conferenza stampa quello che aveva da dire”. Nelle scorse ore Daniela Bricola, manager del Designer Outlet di Serravalle, sul quotidiano La Stampa ha liquidato la questione del mancato dialogo con lavoratori e sindacati in modo abbastanza sbrigativo: “La nostra decisione – ha dichiarato – non era revocabile. Si tratta di scelte effettuate in base a principi commerciali senza ritorno”. Insomma, “rivedere l’apertura di Pasqua” semplicemente “non era possibile”.

Secondo Furlan, situazioni del genere dimostrano la necessità di accogliere le richieste dei sindacati sul tema. “La legge del 2011 va corretta al più presto. Non vietando del tutto le aperture dei negozi nei giorni festivi, ma introducendo forme di contrattazione aziendale e territoriale, in modo da tener conto delle esigenze particolari dei lavoratori”. Pratica che, assicura Furlan, non è difficile da adottare: “Un esempio? Con Esselunga siamo riusciti a garantire ai genitori di bimbi sotto i 3 anni di essere esentati dai turni domenicali”.

Eppure, la direzione dell’outlet di Serravalle evidenzia che “tenere aperto a Pasqua” serve proprio a “valorizzare gli asset del territorio, per far fronte a un turismo nazionale e sempre più internazionale”. Ribatte Furlan: “È una motivazione che non regge. Si continua a lasciar intendere che l’Italia sia ancorata al passato, ma io ci tengo a dire che in quasi tutti i Paesi del Nord Europa le aperture domenicali son tutt’altro che libere. E lì McArthur Glen non se lo sogna nemmeno di richiedere l’apertura degli outlet nel giorno di Pasqua”.

Tener conto delle esigenze locali e tutelare i piccoli commercianti: sono queste le principali esigenze ribadite anche dalla Cgil. Alessio di Labio, responsabile per la Filcams della campagna contro le aperture nei giorni festivi, ci tiene a sottolineare che quella del suo sindacato “non è una contrarietà a priori al lavoro domenicale. Il punto invece è un altro”. Quale? “È il modello di sviluppo del commercio che non è sostenibile. Non tanto a Milano, Roma o Torino, dove l’impatto delle liberalizzazioni volute da Monti è stato limitato. Ma nelle città di provincia, l’apertura di outlet e grandi magazzini 365 giorni all’anno ha segnato lo svuotamento dei centri storici. Il piccolo esercente non può reggere questo tipo di concorrenza che si basa sull’abbattimento del costo del lavoro e risponde solo alle logiche della grande distribuzione”. Un approccio, dunque, che non vuole essere ideologico. “Tutt’altro”, conferma Marco Beretta, segretario della Filcams a Milano, dove Cgil, Cisl e Uil hanno invitato tutti i lavoratori, con una nota congiunta, a non prestare servizio in queste giornate di festa. “Guardiamo ai risultati raggiunti dal Salva Italia. Quando venne approvato, si disse che la liberalizzazione degli orari di apertura avrebbe rilanciato i consumi e aumentato l’occupazione. A distanza di oltre 5 anni, sfido chiunque a dimostrare che questi obiettivi sono stati raggiunti”.

Articolo Precedente

Lavoro, le storie dei working poor italiani. “Con lo stipendio non arriviamo a fine mese. Dobbiamo andare a rubare?”

next
Articolo Successivo

Lavoro, scontro tra Palazzo Chigi e Lombardia: “Regione boicotta l’assegno di ricollocazione per i disoccupati”. “Falso”

next