Otto mesi di reclusione con la condizionale e due anni di interdizione dal territorio francese. È questa la richiesta pronunciata ieri dal procuratore Alain Octuvon-Bazile nell’aula del Tribunale di Nizza al processo contro Francesca Peirotti, ventinovenne italiana accusata di aver «favorito l’ingresso irregolare di otto migranti su territorio francese». La sentenza è prevista per venerdì 19 maggio alle ore 8.30, trecento persone hanno partecipato al presidio per la “libera circolazione” di fronte al Palazzo di Giustizia. Francesca stava percorrendo l’autostrada francese verso Mentone con un furgoncino da nove posti, martedì 8 novembre scorso, quando è stata costretta ad accostare da una volante della polizia di frontiera. Con lei viaggiavano una coppia eritrea e il loro bimbo di 6 mesi, tre ragazze e due ragazzi di Eritrea, Etiopia e Ciad. Francesca li avrebbe tutti ospitati e aiutati a proseguire il loro viaggio: «Le persone che ho portato in Francia non sono ‘migranti’, sono miei amici a cui ho dato un passaggio, e non è mia abitudine chiedere i documenti agli amici». Ha dichiarato in aula, rifiutando di riconoscere come ‘reato’ il suo gesto di solidarietà. «Quella tra Ventimiglia e Mentone non è una frontiera – ha aggiunto – è un filtro di selezione dove i controlli vengono effettuati esclusivamente in base al colore della pelle».Laureata, master in Economia, un’esperienza di un anno in ambito umanitario in Etiopia, la conoscenza dell’arabo che gli permette di svolgere quotidianamente il suo lavoro di mediatrice a Nizza con l’associazione “Habitat et Citoyenneté”, l’estate ai Balzi Rossi con i migranti del campo autogestito di Ventimiglia, i mesi passati nella Jungle di Calais.Difesa dall’avvocato Zia Oloumi, Francesca ha preferito «approfittare dell’occasione per mettere a mia volta ‘sotto processo’ l’assurdità e la disumanità di questa frontiera, che, negli ultimi mesi, ha visto morire dieci persone». Davanti al giudice, giuristi, attivisti e operatori sociali hanno descritto punto per punto la situazione dei migranti in Italia e alla frontiera di Ventimiglia, mentre fuori dal Tribunale, per tutta la durata del dibattimento, si sono alternate al microfono le voci dei migranti che hanno voluto condividere la propria storia e denunciare gli effetti sulla propria pelle delle leggi che governano l’immigrazione, gli ostacoli che hanno affrontato per arrivare in Francia e «quelli che ancora dobbiamo subire a causa del regolamento di Dublino» come sottolinea Basam, che a causa delle impronte lasciate in Italia ora non riesce a chiedere asilo in Francia dove negli scorsi anni è già arrivata la sua famiglia. Con l’ attivista anche Medici Senza Frontiere: «Riteniamo che l’aiuto debba essere imparziale verso coloro che ne hanno bisogno, al di là dello status giuridico di ognuno. Crediamo che condannare chi fornisce assistenza sia un modo cinico per giustificare il fallimento delle politiche di accoglienza e dei meccanismi di protezione dell’UE. Ancora una volta, si mette l’accento sulla deterrenza e la criminalizzazione della solidarietà invece che sui doveri di accoglienza e protezione». Per Walter Massa, coordinatore del sistema accoglienza dell’Arci: «Si criminalizza la solidarietà con la stessa foga con cui si perseguivano i partigiani durante la seconda guerra mondiale, criminalizzare la solidarietà è l’ultima delle nefandezze di un’Europa incapace, immatura e impaurita». Per atti di disobbedienza civile analoghi ci sono già state due sentenze di sostanziale assoluzione, a Nizza, per l’insegnante Pierre-Alain Mannoni e per l’agricoltore Cédric Herrou.
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