La Gran Bretagna avvia l’iter per l’uscita dall’Unione europea e da Bruxelles arriva il primo schiaffo: l’Antitrust europeo boccia la fusione tra la Borsa di Londra (Lse) e quella di Francoforte (Deutsche Boerse). Una bocciatura attesa, ma la decisione di comunicarla proprio nello stesso giorno in cui la premier Theresa May ha deciso di attivare la clausola prevista dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona, fa capire con chiarezza che i negoziati per la Brexit partono già in salita. L’industria finanziaria è infatti il cuore dell’economia britannica e il rischio che la piazza di Londra non possa più avere libero accesso al grande mercato europeo si fa ora più concreta. E’ una minaccia che ha spinto molti grandi gruppi finanziari e banche basate su Londra a interrogarsi in questi mesi sull’opportunità di spostare altrove le proprie attività. La fusione con la Borsa tedesca era vista come la soluzione che avrebbe permesso, anche sul tavolo negoziale con Bruxelles, di ottenere uno status privilegiato per l’industria finanziaria britannica, salvaguardandola dai contraccolpi della Brexit o, perlomeno, da condizioni di accesso al mercato troppo penalizzanti. La bocciatura della fusione tra le due piazze finanziarie, invece, toglie ogni illusione e sembra dire che – proprio per la sua strategicità – l’industria finanziaria sarà il vero perno delle trattative. E a rafforzare questa lettura arrivano puntuali le parole della commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, che si è affrettata a dire che lo stop non ha nulla a che vedere con la Brexit, per poi aggiungere che “l’avvio dei negoziati è solo l’inizio del processo, non è la fine”. Appunto.

Nel merito l’Antitrust Ue ha bloccato il matrimonio tra Londra e Francoforte perché “avrebbe ridotto in modo significativo la concorrenza e creato un monopolio di fatto nell’area cruciale degli strumenti a reddito fisso” e i rimedi proposti, come la vendita di alcuni asset, non erano sufficienti a risolvere i problemi. In particolare, la fusione tra le due piazze finanziarie avrebbe creato un monopolio sul mercato della compensazione in Europa, dove il gruppo Lse e Deutsche Boerse sono le uniche a fornire questo tipo di servizi. Non solo, ci sarebbero state importanti ricadute anche sul mercato della custodia titoli, dove la tedesca Clearstream avrebbe avuto dei vantaggi indebiti a danno degli altri concorrenti di minori dimensioni. Infine, l’unione dei due colossi avrebbe eliminato qualsiasi concorrenza orizzontale nel campo dei prodotti derivati su azioni belghe, olandesi e francesi. Per ottenere il via libera dalla Commissione Ue, Lse e Deutsche Boerse avevano proposto la cessione di Clearnet, la camera di compensazione di Lse in Francia, ma secondo l’Antitrust questa misura avrebbe solo risolto il problema della competizione sui derivati, non tutti gli altri. Da qui la decisione di porre il veto.

Ora occorrerà capire cosa accadrà e come Londra deciderà di giocare le sue carte, considerato il fatto che la piazza finanziaria britannica un piede in Europa già ce l’ha ed è la Borsa Italiana. Un asset che potrebbe acquisire una rilevanza strategica in ambito negoziale soprattutto perché, oltre alla proprietà della Borsa milanese, Londra detiene quella dell’Mts, il mercato secondario più liquido d’Europa sul quale avvengono gli scambi dei titoli di Stato italiani e dei bond europei. Al tavolo negoziale di Bruxelles potrebbe dunque crearsi un inedito e curioso asse anglo-italiano sulla base di una reciproca convenienza che porterebbe Milano a candidarsi al ruolo di testa di ponte della piazza finanziaria londinese nella Ue, con indubbi vantaggi sia di carattere economico sia di prestigio internazionale. E’ uno scenario possibile, ma destinato a rimanere nel novero delle pure ipotesi almeno fino a quando il governo britannico non vincerà la naturale ritrosia nei confronti della debole e inaffidabile Italia. Ammesso e non concesso che Londra non abbia già in cantiere un piano “B”.

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