E’ il 15 febbraio, sono le dieci di sera. Via Fontanelli, Bruzzano, periferia nord di Milano. Giorgio Melis, 57 anni, incensurato e proprietario della lavanderia sotto casa, scende perché due uomini si sono presentati davanti al suo stabile. Lo stanno cercando. Quando si trovano faccia a faccia inizia una lite e poco dopo uno dei due fa un passo indietro, carica il colpo nella canna della calibro 22 che tiene in mano e spara alla gamba sinistra di Melis, che resta in piedi e viene colpito con il calcio della pistola alla testa prima di finire a terra. Chi spara sale in fretta sulla Fiat 600 con cui era arrivato e scappa. Il suo accompagnatore, invece, resta lì, come se nulla fosse a parlare con Melis e con i familiari scesi in strada dopo aver sentito lo sparo.

La gambizzazione è stata ripresa dalla telecamera della tintoria di Melis e ha permesso ai poliziotti del commissariato Comasina, guidato dalla dottoressa Elisabetta Silvetti, di arrestare l’uomo che ha fatto fuoco. Si tratta di Paolo Pittella, 37 anni originario di Crotone, pregiudicato per vari reati e membro di una delle famiglie vicine agli storici clan che gestiscono lo spaccio e le estorsioni tra la Comasina e Bruzzano, da sempre regni del boss di ‘ndrangheta Giuseppe Flachi, classe ’51, detto don Pepè, che tra gli Ottanta e Novanta è stato uno dei signori dell’eroina a Milano e che ancora oggi gode di un forte prestigio criminale in tutto il quartiere. Gli investigatori sono arrivati a Paolo Pittella anche grazie all’occhio attento di un poliziotto che dalle immagini di quella sera ha subito riconosciuto il volto di suo cugino Simone Pittella, 28 anni, con molti precedenti tra cui spaccio, riciclaggio e associazione per delinquere, che il 15 febbraio aveva accompagnato Paolo a compiere la spedizione punitiva nei confronti di Melis.
Da qui sono partite le indagini fatte di lunghi appostamenti tra i casermoni popolari del cosiddetto “quadrilatero dei fiumi”, controllati dalle vedette e trasformati dai ras del quartiere in fortini della droga e delle armi. Il lavoro degli investigatori non è stato facile perché Pittella cambiava continuamente rifugio trovando appoggio dai numerosi familiari. La svolta è arrivata sabato scorso quando i poliziotti appostati sotto la casa della madre in via del Danubio hanno visto fermarsi una Porsche Panamera guidata da Simone. A quel punto hanno deciso di intervenire. Anche perché sospettavano che il 37enne stesse per scappare in Calabria. “Pittella era in casa, dove abbiamo trovato 1.180 euro e alcune dosi di cocaina e hashish pronte per essere vendute. Abbiamo indagato per droga Simone e Christofer Palmieri, una vedetta di 35 anni”, ha spiegato Silvetti.
L’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Pittella per lesioni aggravate e porto abusivo d’arma da sparo è stata emessa dal gip Stefania Donadeo, su richiesta del pm Giordano Baggio. Resta ancora da trovare la calibro 22. Pittella ha detto di averla smontata e gettata in un fiume perché lo aveva visto fare in un film ed era sicuro che avrebbe funzionato. Ma soprattutto resta da chiarire il movente. Melis ha raccontato che i due gli hanno chiesto con insistenza dove fosse una certa persona di cui però non si hanno informazioni. Gli investigatori sospettano che il ferimento possa essere legato al giro di estorsioni. Per questo le indagini continuano. Anche perché c’è da fare luce su altri fatti avvenuti nel quartiere. “Stiamo lavorando anche su due episodi di intimidazioni avvenuti in zona nel febbraio 2016 e nel febbraio scorso – ha detto Silvetti – il primo caso riguarda un’auto incendiata a un commerciante che però nega di aver avuto minacce estorsive, il secondo riguarda 4 colpi di pistola esplosi contro la finestra di un marocchino che ha querelato Pittella per altre vicende”.

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