L’inflazione torna ad alzare la testa proprio mentre il governo Gentiloni mette a punto la manovra aggiuntiva chiesta dalla Ue, che passerà anche attraverso aumenti delle accise. Così, dopo le associazioni consumatori, ora sono le imprese della grande distribuzione a mettere i loro paletti: no a nuove tasse e no pure all’estensione al loro comparto della cosiddetta reverse charge, l’inversione del versamento Iva caricandola sull’acquirente invece che sul venditore, perché “la lotta all’evasione non può essere fatta scaricando gli oneri di impegni che dovrebbero essere della Pubblica Amministrazione su soggetti privati”. “Il settore sarebbe gravato da pesanti costi amministrativi e da perdita di liquidità, in un momento nel quale continua a soffrire l’ancora debole dinamica dei consumi”, avverte Federdistribuzione.

Tornando ai dati Istat, le stime preliminari dell’istituto evidenziano che a gennaio l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dello 0,2% rispetto al mese precedente e dello 0,9% nei confronti di gennaio 2016. A spiegare l’incremento sono soprattutto beni energetici alimentari non lavorati, mentre l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e alimentari freschi, rallenta seppur di poco, portandosi a +0,5%, da +0,6% del mese precedente. Al netto dei solo beni energetici è a +0,8% (da +0,7% di dicembre). Su base annua la crescita dei prezzi dei beni accelera in misura significativa (+1,2%, da +0,1% di dicembre) mentre quella dei servizi rallenta (+0,6%, da +0,9% del mese precedente). L’inflazione acquisita per il 2017 risulta pari a +0,6%. I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto aumentano dello 0,9% in termini congiunturali e registrano una crescita su base annua del 2,2%, dall’1% del mese precedente.

“Il dato di gennaio conferma la tendenza al rialzo dei prezzi già manifestatasi a dicembre 2016 e si mostra coerente con quanto sta avvenendo in Europa (+1,8%), sebbene su livelli inferiori”, scrive in una nota Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione, che riconosce come gli aumenti siano legati “in gran parte ai recenti incrementi del petrolio” ma aggiunge “la tensione generata dalle avverse condizioni climatiche, che ha inciso sul trend dei prodotti alimentari freschi”. Quindi, spiega, “siamo di fronte a un fenomeno di impennata inflattiva ‘insana’ dovuta principalmente a componenti stagionali ed esogene, potenzialmente in grado di frenare ulteriormente la ripresa di un sistema economico che è ancora caratterizzato da consumi deboli, come testimoniato dalle vendite al dettaglio Istat, destinate a concludere l’anno 2016 intorno ad una variazione nulla”. Di qui la richiesta di “evitare interventi che possano ancora deprimere i consumi, come aumenti sulle imposte indirette. Anche la lotta all’evasione dell’Iva, una battaglia che condividiamo e che va combattuta, non può essere fatta scaricando gli oneri di impegni che dovrebbero essere della Pubblica Amministrazione su soggetti privati”.

Da parte loro i consumatori parlano di “stangata”: secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, “il balzo dell’inflazione a +0,9% annuo significa, per una coppia con due figli, la classica famiglia italiana, avere una maggior spesa annua di 342 euro. Una cifra davvero considerevole”. Il Codacons stima invece l’aggravio in 270 euro a famiglia. “Ad alimentare il record dell’inflazione pesano in modo evidente anche le speculazioni sui listini”, si legge in una nota. Infatti “la crescita dei prezzi nel settore degli alimentari (+5,3%) è abnorme e ingiustificata, e appare aggravata dai rincari dei listini dell’ortofrutta legati al maltempo, che hanno coinvolto anche prodotti non colpiti da gelo e coltivazioni raccolte prima delle nevicate“.

Articolo Precedente

Ferrari, nel 2016 utili per 400 milioni. E gli Agnelli incasseranno oltre 27 milioni di dividendi

next
Articolo Successivo

Ddl concorrenza, governo prepara nuove misure anti scalata per difendere Mediaset da Vivendi

next