Guardo anch’io le immagini di Pateh Sabally che affoga nel Canal Grande. Non in un posto qualunque, ma proprio lì, a Venezia: dove l’Italia mostra tutto il suo splendore, la sua (passata) grandezza. Proprio lì, davanti a centinaia di persone che osservano.

Pateh che decide di morire, per disperazione. O forse con l’ultima minima speranza di lasciare un segno almeno con la morte, come Jan Palach, lo studente cecoslovacco che si bruciò vivo a Praga contro i nemici sovietici (non andrà così, i simboli ormai durano una manciata di ore).

Stavo per scrivere anch’io un post indignato: contro quelle urla da bestie (“Africa, Africa, torna a casa”), contro la gente che filmava e non si gettava per salvare un uomo. Ma poi, senza volerlo, mi sono trovato dentro una domanda: ma io mi sarei buttato in acqua? Crediamo tutti di sì, guardando le immagini. Ma poi l’idea di noi che ci portiamo dentro a volte si scontra con la realtà.

Ci sono momenti, istanti, che ti costringono a vedere chi sei davvero. Senza sconti. Non un eroe.

Ricordo una mattina all’alba alla stazione di Genova Brignole. Aspettavo il treno per Roma. All’improvviso, davanti a decine di persone in attesa sul marciapiedi, ecco una ragazza che scende sui binari. Proprio mentre il treno si avvicina. Il macchinista aziona la sirena, una volta, due, poi disperatamente. Niente, la ragazza non si muove. Aspetta che il Frecciabianca arrivi.
E noi tutti guardiamoguardiamo e non riusciamo a muovere un muscolo. La sirena ci sveglia dal torpore dell’alba, ci costringe a decidere. Subito, non c’è tempo. Ci separano due metri dalla donna sui binari, ma sono una distanza immensa: quella tra ciò che crediamo di essere e ciò che siamo davvero. Tra il nostro coraggio autodichiarato e la nostra vera natura.

Per questo è tanto difficile buttarsi. E’ un salto che ti costringe a decidere chi sei, che ti getta nella luce dall’ombra dove ti trovavi. Esci fuori dal nascondiglio di balle che ti raccontavi. Non è solo il timore del treno, dell’acqua gelida del Canal Grande. Sei sotto gli occhi di tutti. Sei solo. Hai paura di morire sotto il treno, di annaspare come un cretino nel Canale davanti alla folla. Hai paura di uscire dalla folla e diventare UNO. Hai paura e basta.

Ricordo il treno che avanzava ancora nella stazione. Mancava un istante. E proprio in quel momento un ragazzo – un poliziotto fuori servizio – si buttò sui binari, afferrò la ragazza e la portò via.
Nessuno saprà mai il nome di quella ragazza e dell’uomo che la salvò. Ma in fondo a loro, immagino, non importi. Lui si è buttato. Io non so se lo farò mai.

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