Recentemente a Bologna la ricercatrice Chiara Cretella si è vista negare l’allattamento a palazzo d’Accursio dove erano in mostra le opere del pittore Wolfango. La motivazione “divieto di introdurre cibi e bevande” è degna di una commedia di Eugène Ionesco. Io sono per l’allattamento libero e universale. Quando vedo una mamma allattare sento in me una nostalgia che mi commuove: per un attimo penso che la solitudine è battuta sul campo di battaglia di un capezzolo. E se il primo impulso è quello di sostituirmi al neonato, è per sentirmi meno solo, non per altro. Sono un guardone di allattamenti, se fossi direttore della Rai inserirei nel palinsesto giornaliero almeno dieci minuti di allattamento in prima serata. Non ci risparmiano la visione di morti e cadaveri insanguinati, mentre il latte materno è tabù. Si salva solo il latte delle mucche: con tutto il rispetto per le mucche, non mi sembra giusto.

Viene il sospetto che la vita sia tabù, non solo il latte materno. Tutto ciò che ha una carica vitale primordiale è vissuto come un fastidio. La vita stessa diventa un fastidio: una società intrisa di morte è più gestibile. I morti non fanno la rivoluzione, non si ribellano e, terremoti permettendo, non si muovono. Quindi si censura l’allattamento davanti a un quadro e si censura L’origine del mondo di Courbet su Facebook.

L’arte ci ricorda che siamo vivi, quindi anche l’arte è pericolosa: bisogna tenerla al guinzaglio nei musei, non deve scorrere nel sangue, nemmeno nel sangue digitale dei social, l’arte non deve farsi vita, respiro, gesto, altrimenti iniziano a scricchiolare i sepolcri che ci hanno costruito attorno. Nei social possiamo postare la pizza all’ananas, ma non Courbet, così va il mondo. E così se ne va l’origine del mondo.

Tutto ciò che è vivo ci nutre: un seno, un quadro, una musica. La vita è una questione di vita o di morte, ed è bello scegliere la vita, più che bello: è vitale. Una madre che allatta suo figlio davanti a un quadro è pura poesia, l’arte e la vita che si fronteggiano. Non lasciamo vincere la censura. Senza mai dimenticare “la segreta nerezza del latte“, come Valéry insegna.

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