Oltre dieci punti percentuali in più: la Sardegna guida la marcia dei No a livello nazionale. La percentuale dei No è arrivata al 72,22 per cento contro la media del 59,95. Gli isolani bocciano la Riforma costituzionale voluta dal governo Renzi con una caduta – a cascata – anche per la guida politica di centrosinistra della Regione che si è battuta e ha promosso apertamente il Sì. Il No questa volta è emerso con forza con un’affluenza al 62,45 per cento: poco più bassa rispetto al resto d’Italia – appena tre punti percentuali – al 65,47 per cento. Ed è un primato che rende la penisola meno lontana.

La spina dell’Autonomia
Proprio il rapporto con Roma e il governo centrale è stato uno dei cavalli di battaglia dei comitati del No. Sulle possibili conseguenze e timori di un’Autonomia in parte da scrivere si è giocato l’appoggio delle sigle indipendentiste e delle associazioni ambientaliste. L’eventuale ridistribuzione di competenze tra la Sardegna e lo Stato in materia ha toccato molti nervi scoperti: dal nodo delle servitù militari, a quello dell’energia (negli ultimi anni spiccano l’opposizione all’oleodotto Galsi, al progetto Saras ad Arborea e ai progetti off-shore al largo dell’Asinara). Eppure, sempre dall’analisi delle percentuali, il tema emozionale dell’Autonomia tocca ma non copre del tutto le percentuali bulgare dei sardi.

Il confronto tra le 5 autonome, e lo strano caso del Trentino
Basta guardare i dati delle altre Regioni a statuto speciale: Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano. Il No dei sardi è davanti a tutti anche se il trend è segnato: Valle d’Aosta al 71,90 per cento; Sicilia al 71,58; solo il Friuli più basso al 60,97. Alla raggiera delle quattro si aggiunge ed è uno strano caso quello del Trentino Alto Adige, una delle tre regioni in cui ha vinto il Sì (con il 53 per cento dei voti). Un bizzarria se si considera che le due province di Trento e Bolzano sono di fatto quelle in cui il verbo dell’Autonomia è davvero messo in pratica in una ipotetica classifica: dalla lingua al sistema scolastico fino all’economia locale. Frontiere e traguardi molto distanti per decisionismo e compattezza dalla realtà politica sarda, formata da una galassia variegata con alcune presenze anche nel palazzo del governo regionale. Una sfida sempre rinviata e alle urne mai appoggiata con entusiasmo, complice l’eccessiva frammentazione ma anche l’ultima legge elettorale della Sardegna con uno sbarramento che di fatto creato un paradosso: penalizzando, ed escludendo, la coalizione di Michela Murgia (le cui liste collegate non hanno superato soglia del 7 per cento).

Tra il Sì e il So dei leader isolani
Hanno detto il Sì in modo convinto il presidente della Regione, Francesco Pigliaru, il presidente del Consiglio regionale, Gianfranco Ganau, entrambi sassaresi. E tutta una parte consistente del centrosinistra al governo regionale – inclusi numerosi consiglieri regionali – che ha accompagnato i ministri in tour in Sardegna. A loro si sono opposti – molti in silenzio – i dissidenti interni contro la Riforma costituzionale con motivazioni legate soprattutto, ancora, ai timori per l’Autonomia. In mezzo il Movimento 5 stelle isolano che non ha una forza travolgente, né rappresentanti nell’Assemblea regionale, e la sponda del centrodestra guidata dall’ex presidente Ugo Cappellacci (coordinatore di Forza Italia). Ben distante dal Sì del sindaco di Sassari Nicola Sanna che è apparso sul palco con Renzi in compagnia dei giocatori della Dinamo, squadra locale di basket, c’è l’inedita posizione del sindaco di Cagliari. Massimo Zedda si è schierato per il So, seguendo il senatore di Sel (ormai in scioglimento) Luciano Uras. Non una posizione ma un non voler svelare la propria dichiarazione di voto che in tanti hanno interpretato come una mancanza di trasparenza o un tentativo di riposizionamento (considerato il No di entrambi a Sinistra italiana).

Le città e le punte delle province storiche
Chissà se ha funzionato il timore sull’esistenza delle province, su cui in Sardegna un altro referendum aveva già dettato la linea, e una legge segnato il riordino dopo una lunga di gestazione. Sta di fatto che le punte nella regione del record sono arrivate dai capoluoghi storici: Oristano, in cui ha vinto il No per il 75,52 per cento, e Nuoro con il 74,18. E ancora a Iglesias, nel Sulcis, non più capoluogo di provincia, in cui si è arrivati al 77,26 per cento. Il No massiccio ha comunque travolto tutti i comuni: tranne due piccolissimi paesi in cui ha vinto il Sì. Uno in provincia di Cagliari, Armungia, di cui è originario l’antifascista e fondatore del Partito sardo d’Azione, Emilio Lussu; l’altro in provincia di Sassari, Semestene. Entrambi con meno di 400 abitanti e con un Sì che vince al 52 per cento. Piccole macchie di colore su una mappa omogenea.

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