Il vertice sull’immigrazione organizzato dall’Onu a New York si è appena chiuso con le Nazioni unite che hanno chiesto all’Europa uno sforzo maggiore per accogliere i profughi, soprattutto siriani. Ma il sistema d’asilo europeo è evidentemente al collasso, già adesso. Lo dimostrano i numeri del rapporto Eurostat sull’ultimo trimestre (aprile-giugno). Le domande d’asilo che ancora aspettano una risposta sono in tutto quasi 1,1 milioni. A giugno 2015 erano 633mila. Il Paese più in affanno è la Germania (571mila domande pendenti, il 52% del totale), a cui segue la Svezia (130.900 domande pendenti), finora considerata un modello d’accoglienza. L’Italia è al quarto posto con 70.700 persone in attesa di un verdetto. “Era ovvio che il sistema s’ingolfasse, con questi numeri – spiega Paolo Bonetti, professore di diritto costituzionale e diritto degli stranieri all’Università Bicocca di Milano -. La Germania lo scorso anno ha accolto un milione di profughi usando la clausola di sovranità al sistema Dublino (il quale stabilisce che la domanda di asilo debba essere depositata nel primo Paese europeo in cui si entra, ndr) e non aveva le capacità per farlo”. Anche il secondo posto della Svezia si spiega in termini di proporzioni (troppe richieste per il sistema d’accoglienza), a cui si aggiungono leggi più restrittive introdotte di recente e che allungano i tempi delle procedure.

“L’inefficienza imperversa”, è la sintesi del professor Bonetti. E il paradosso è che proprio il regolamento Dublino, la regola base del sistema d’asilo, una delle cause profonde di questo ingorgo. È in corso una guerra di carte bollate tra vari Paesi europei, come per esempio tra Germania e Svezia, per stabilire di chi debba valutare le domande (nel caso di specie 60mila). “Il sistema che doveva organizzare la ripartizione dei carichi ha creato l’ingorgo e regolamentazione si ridiscute ogni volta”, chiosa il professore. Risultato? Le domande d’asilo che non hanno commissioni pronte a giudicare sono congelate, in deroga ai tempi previsti dalla legge per la loro valutazione, che prevedono in teoria 30 giorni. Chi ha lo status di richiedente non può cercare lavoro e il percorso d’integrazione rallenta.

Nel secondo trimestre del 2016 le persone che hanno chiesto asilo in Europa sono state 305.700, il 6% in più del trimestre precedente. In proiezione, il dato è di poco inferiore agli 1,2 milioni di domande raggiunte nel 2015. Ed è impossibile pensare che il flusso rallenti, visto che le principali guerre del mondo, ricorda Paolo Bonetti, sono intorno all’Europa e al Mediterraneo. È sempre la Germania il Paese a cui si punta: sei domande su dieci sono depositate a Berlino. Segue l’Italia, dove tra aprile e giugno sono arrivati 27mila richiedenti asilo, che si aggiungono ai 22.335 del trimestre precedente. Dietro ci sono Francia (6% delle domande europee), Ungheria (5%) e Grecia (4%). Un terzo dei richiedenti scappa ancora dalla guerra in Siria, poi dall’Afghanistan. In Italia, invece, le maggiori richieste provengono da cittadini nigeriani (4.400) e pakistani (3.565).

Se ci sono Paesi in cui le domande aumentano, in altri il flusso di richieste è drasticamente sceso. In alcuni casi dimezzato. È il caso di Svezia (-47%), Danimarca (-59%) e Finlandia (-53%): effetti, probabilmente, delle politiche d’asilo più restrittive introdotte negli ultimi mesi. Siccome il flusso in assoluto, però, non rallenta, la pressione dei richiedenti non allenta e si concentra sempre di più sugli altri. Germania e Italia in testa.

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