Osannata e invidiatissima all’estero, la legalizzazione della marijuana in Uruguay, voluta dall’ex presidente José Mujica, non gode di altrettanto successo in patria. Finora infatti, in quello che è stato il primo Stato al mondo a legalizzare la coltivazione e la vendita di marijuana, rendendola monopolio di Stato, solo 50 su 1200 farmacie hanno aderito al piano per la compravendita legale della cannabis.

La riforma uruguaiana prevede tre opzioni per procurarsi la marijuana legalmente: la coltivazione domestica per uso personale, i club di consumatori e la distribuzione attraverso le farmacie di “erba” prodotta su licenza statale. A determinare quello che per ora sembra essere un flop sono vari motivi, come ammettono le tre principali organizzazioni rappresentative dei farmacisti locali. Il primo è che a differenza di quelle che si trovano nella capitale Montevideo, le farmacie delle aree più interne del paese temono che la vendita legale di marijuana possa minare la loro immagine di fronte ai clienti, più tradizionalisti e conservatori, secondo cui la “farmacia esiste per curare, non per far ammalare”.

Poi c’è anche il fatto che nel momento in cui è terminato il periodo di iscrizione per la vendita di marijuana, molte strutture non erano in regola con i requisiti sanitari e di sicurezza richiesti, nonostante l’intenzione di partecipare. Infine la sicurezza. Il presidente della Camera Uruguaiana delle Farmacie, Gonzalo Miranda, ha denunciato che le farmacie presenti nelle zone di spaccio della droga hanno ricevuto minacce dai narcotrafficanti, che vedono nella commercializzazione della cannabis un danno ai loro affari. Che poi è proprio uno degli argomenti spesi dal governo per far approvare la legge, cioè la lotta al narcotraffico, insieme ai benefici in termini di salute nell’uso medico. Per l’esecutivo comunque 50 farmacie iscritte sono “sufficienti per iniziare la fase pilota dell’implementazione della legge”. C’è la convinzione che una volta partita la vendita legale nelle farmacie, aumenteranno quelle aderenti al piano. L’idea è di iniziare entro un paio di mesi. Al momento sono state coinvolte due imprese per la produzione di cannabis ad uso ricreativo e la raccolta dovrebbe cominciare nelle prossime settimane, mentre non è stato ancora bandito l’appalto per la produzione ad uso terapeutico per il mercato interno, anche se diverse aziende si sono mostrate interessate, tra cui una israeliana. Per poter comprare marijuana, bisognerà registrarsi precedentemente nel sistema e si avrà accesso a 10 grammi di cannabis la settimana, per un massimo di 40 al mese. Il prezzo al grammo, non ancora stabilito, dovrebbe essere di 1,2 dollari. I prossimi mesi decreteranno se Mujica aveva ragione o meno.

In Colorado invece, uno dei primi stati Usa a legalizzare la marijuana, il bilancio è finora positivo. Dal 2014 il giro d’affari legale che si è prodotto vale un miliardo di dollari l’anno, si sono creati migliaia di posti di lavoro, e nelle casse dello Stato nel 2015 sono entrati 135 milioni di dollari tra tasse e ricavi generati dall’industria della marijuana ad uso medico e ricreativo, che vengono impiegati in parte per educare i giovani sugli effetti delle droghe e nell’applicazione della legge. Inoltre non c’è stato un boom dei consumi tra i giovani come si temeva. I dati pubblicati dal Dipartimento di salute pubblica del Colorado a giugno segnalano che con la legalizzazione non è aumentato l’uso della marijuana. Quattro studenti su 5 delle scuole superiori continuano a riferire di non consumarla, nemmeno occasionalmente. Il fattore che influisce di più sui ragazzi verso droga, alcol e fumo, è l’atteggiamento dei genitori: se mostrano di ritenerlo sbagliato, i figli ne consumeranno meno. Per poter confermare che l’approccio della legalizzazione è quello corretto, serviranno però altri dati e risultati dalle realtà che hanno avviato questo percorso. Al momento sono ancora troppo pochi.

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