Gli eventi convulsi e ancora non del tutto chiari in corso in Turchia dimostrano senza dubbio la profondità della crisi nel corso del grande Paese anatolico. Il termine “guerra civile” evocato più volte nel recente passato, ha sembrato trovare concretizzazione negli scontri della notte tra venerdì e sabato fra militari  contrari e fedeli all’aspirante sultano. A ogni modo un risultato della sua politica dissennata. Erdogan, infatti, aveva fatto di tutto per destabilizzare la regione medio-orientale cercando un’improbabile riaffermazione dell’Impero ottomano a partire dalla crisi siriana ed irachena, entrambe fortemente volute dalle potenze occidentali. Ha finito per destabilizzare la Turchia e il suo regime liberticida.

Difficile stabilire chi siano esattamente gli autori del golpe fallito. Erdogan stesso punta il dito contro il suo oppositore storico Gulen. Ma è probabile che un certo ruolo abbiano avuto malumori e frustrazioni di settori non indifferenti delle forze armate turche, contrariate dall’appoggio all’Isis e dalla ripresa in grande stile dei massacri e delle violazioni dei diritti umani nella regione kurda e più in generale dall’autoritarismo dittatoriale di cui ha dato prova il governo, nonché dall’attacco alla laicità dello Stato. Non bisogna dimenticare, da questo punto di vista, che ogni guerra coloniale, e quella che le forze armate turche portano avanti nel Kurdistan lo è, porta con sé i germi della dissoluzione del regime che la conduce.

Apparentemente, Erdogan esce da questo scontro rafforzato. C’è infatti chi sospetta che si sia trattato dell’ennesima messinscena, una false flag abilmente montata per riaffermare senza limiti il proprio potere, è un maestro impareggiabile. Fatto sta che il golpe sembra essere stato pianificato in modo tale da essere facilmente sconfitto. Ora, forte della sua facile vittoria, il regime minaccia esecuzioni in massa e una nuova ondata di repressione che non toccherà certamente solo i membri dei corpi armati dello Stato che si sono sollevati contro Erdogan. Sta colpendo anche  i magistrati, ben tremila, che non si erano sottomessi all’aspirante sultano. Alcuni di essi erano già stati in vario modo colpiti per aver messo sotto accusa la sua politica di sostegno all’Isis. Più in generale Erdogan ne approfitterà per dare nuovi pesanti colpi all’opposizione. Ma la repressione condurrà sempre di più Erdogan e il suo regime in un vicolo cieco. A una più attenta osservazione, infatti, si mostra tutta la fragilità del consenso popolare su cui poggia. La Turchia è, oggi più che mai, un Paese spaccato, nonostante le migliaia di persone scese in piazza a sostegno di Erdogan. Era stato del resto quest’ultimo, come osserva acutamente il Guardian, a dare inizio da tempo al colpo di Stato. Quella tentata maldestramente da settori minoritari delle forze armate sembra essere piuttosto una reazione, probabilmente fomentata dallo stesso Erdogan per alimentare la nuova ondata repressiva che è alle porte.

Va del resto dato atto a tutte le formazioni dell’opposizione parlamentare, compreso il partito di sinistra Hdp, di gran lunga maggioritario nella regione kurda del Paese, di aver condannato il tentativo di golpe. L’Hdp, in particolare, con un comunicato ripreso dall’Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia, ha affermato che non esiste altra via che quella democratica, riaffermando la propria fede coerente nei valori della democrazia. L’avversione ai colpi di Stato militari, che hanno scandito la storia della Turchia moderna, costituisce in questo senso un patrimonio comune del popolo turco al di là di ogni divisione politica.

Occorrerà però a questo punto vedere se il Erdogan ricambierà la cortesia mostrando uguale fair-play e fiducia nei valori universali della democrazia. Conoscendo il personaggio, c’è da dubitarne, e tempi ancora più bui dei precedenti aspettano quindi la Turchia. A meno che si faccia strada l’ipotesi, al momento improbabile seppure auspicabile, di un nuovo patto politico di unità nazionale per allontanare definitivamente lo spettro della guerra civile e avviare un processo di negoziazione politica con la guerriglia kurda per andare a ridefinire, su base federale e democratica, i fondamenti costituzionali del Paese.

Sarebbe la cosa migliore, ma Erdogan ha dimostrato abbondantemente di prosperare nella guerra e nel conflitto e trarrà probabimente spunto da quello di ieri notte per un nuovo giro di vite e la continuazione dei massacri nelle città kurde martiri dove la guerra civile è da tempo realtà conclamata e non si fermerà certamente ma è anzi destinata a continuare ed estendersi.

Eletto democraticamente, seppure al termine di campagne elettorali contrassegnate da evidenti e diffuse violazioni delle norme democratiche e con l’uso spregiudicato dell’arma del terrorismo di Stato, Erdogan torna a ricevere l’appoggio incondizionato delle principali potenze del mondo, con in testa Stati Uniti e Unione europea (anche se maliziosamente potrebbe osservarsi che tale appoggio è arrivato solo nel momento in cui la situazione sul terreno appariva volgere a favore dei fedeli di Erdogan). Tra i quali, subito a ridosso di Washington, il nostro Renzi che ha addirittura espresso sollievo per il prevalere della democrazia, confermando nella convinzione che ne ha un’idea piuttosto vaga. Certamente i principi della democrazia vanno sostenuti ma non in modo ipocrita e parziale. Né è possibile dare un appoggio incondizionato a un politico che si è macchiato di vari crimini, dal sostegno al terrorismo fondamentalista che continua a compiere inaudite stragi in Europa, ai massacri compiuti contro il popolo kurdo compiendo crimini contro l’umanità per i quali oggi è sotto accusa in Germania.

La portata dei gravi eventi del tentato golpe non può assolutamente essere minimizzata e le loro cause non possono certamente essere ascritte all’operato di fantomatiche potenze straniere, ma risiedono profondamente nell’attuale situazione di crisi della Turchia per molteplici ragioni di ordine politico, sociale ed economico. Occorrerebbe che essi aprissero  sia pure solo in parte gli occhi alle potenze suddette. Ma, conoscendole, deve purtroppo dubitarsi che lo faranno e continueranno a vivacchiare alla giornata appoggiando in modo incondizionato il presidente turco, nella speranza che risolva il problema dei profughi e combatta l’Isis. Ma non farà né l’uno né l’altro. Continuerà invece a puntellare il suo potere traballante fino alla prossima crisi. Il golpe è fallito ma la rivoluzione, che è cosa totalmente diversa, potrebbe arrivare prima del previsto.

 

 

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