Rimpatriato da Palermo in Tunisia su una nave da crociera in una cabina con le sbarre perché il permesso di soggiorno rinnovato era a Ferrara a e non in Sicilia. E’ questo il caso denunciato dall’avvocato del foro di Ferrara Massimo Cipolla ai danni del suo assistito, un tunisino di 40 anni. La vicenda risale a maggio scorso e ora il legale ha annunciato che si rivolgerà alla Corte di Strasburgo: “È normale che una persona che non ha commesso reati venga reclusa dopo esser stac33e03f53f47e1f24162afe692836ff4ta respinta alla frontiera in spregio alla Convenzione sui diritti dell’uomo?”, ha detto a ilfattoquotidiano.it. “E, soprattutto, è normale che la nave incaricata di riportarla nello stato di provenienza prosegua la propria crociera tenendola segregata al’interno di una cabina trasformata in cella?”

Tutto inizia a ottobre 2015 quando il tunisino, che ha un lavoro regolare in Emilia, chiede il rinnovo della carta di soggiorno, in scadenza ad aprile. Nel frattempo – a gennaio – torna in patria, per poi riprendere la via dell’Italia a bordo di una nave da crociera, che da Tunisi lo porta a Palermo. Qui succede l’imprevisto. Alla questura di Ferrara risulta irreperibile. Il domicilio dichiarato non corrisponde più a quello attuale. Questo nonostante il 19 novembre 2015 abbia avviato il procedimento di cambio anagrafico dell’indirizzo. La questura nega il rinnovo: il permesso va richiesto alla questura della provincia di residenza, e lui non risulta più residente a Ferrara. Ma potrà proporre uguale istanza al questore del capoluogo in cui effettivamente dimora.

In quel momento intanto il tunisino è di fronte alla polizia di frontiera di Palermo. Che lo respinge perché “senza i requisiti richiesti dal testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato”, come si legge nella nota inviata all’avvocato Cipolla. A questo punto l’articolo 10 del decreto legislativo 286 del 1998 (il testo unico sull’immigrazione), impone al vettore (la nave che lo ha trasportato) di “prenderlo immediatamente in carico e ricondurlo nello Stato di provenienza”. E così avviene, ma con modalità inconsuete.

Il passeggero finisce in una cabina con le sbarre dalla quale non può uscire. E il traghetto, anziché prendere la via più diretta verso Tunisi, prosegue il viaggio nel Tirreno. E così l’uomo rimane segregato in quei pochi metri quadri dal primo al 7 maggio. Gli viene lasciato il telefono cellulare per comunicare con i parenti. Lo utilizzerà per scattarsi delle foto dietro le sbarre e inviarle al proprio legale.

L’avvocato scrive allora al ministro dell’interno Alfano per chiedere come mai il suo assistito sia stato “rimpatriato mediante reclusione in cella a bordo della nave da crociera”. “Indipendentemente dalle ragioni giuridiche della polizia di frontiera, sono preoccupato – spiega Cipolla – dalla possibilità che le nostre autorità fossero consapevoli di questa situazione. Abbiamo una persona che è stata privata della propria libertà senza l’intervento di un giudice. È un fatto molto grave, che viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Proprio per questo sto valutando un ricorso alla Corte di Strasburgo, perché ritengo fondamentale assicurarsi che questi fatti non si ripetano. Ci troveremmo altrimenti di fronte a una aggressione dei diritti dei migranti che purtroppo riscontro spesso nella mia pratica professionale quotidiana”. Un modo eufemistico di dire che il timore è che questi respingimenti con privazione della libertà personale possano essere la prassi. Intanto la lettera dell’avvocato è rimasta senza risposta.

 

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