Dopo l’omicidio stradale, traguardo che sembrava difficile da raggiungere ma oggi realtà, potrebbe arrivare presto un’altra novità per il nostro ordinamento: il reato di omicidio sul lavoro da far scattare di fronte ad accertate responsabilità nella violazione delle norme di sicurezza e mancato controllo. Ad una proposta di legge in questo senso si appresta a lavorare il deputato di Sinistra italiana-Sel Giorgio Airaudo, una lunga esperienza nelle file della Fiom, le tute blu della Cgil, ed oggi parlamentare (è stato anche candidato sindaco di Torino sotto le insegne di Sinistra italiana-Sel)

Gli incidenti mortali sul lavoro, infatti, nel 2015 sono tornati a crescere del 16% e con essi anche le voci di quanti chiedono di superare quel reato di omicidio colposo, attualmente previsto dalla legge, che non attribuisce al datore di lavoro la volontà di uccidere nonostante la negligenza, l’imprudenza, l’imperizia e l’inosservanza di leggi a tutela dei lavoratori.

La decisione della Cassazione sul rogo alla Thyssenkrupp, dove nel 2007 persero la vita sette operai, d’altra parte, ha già tracciato in un certo senso la strada: la sentenza che ha condannato in via definitiva i sei dirigenti dello stabilimento siderurgico torinese ha confermato le condanne per omicidio colposo plurimo e incendio colposo prevedendo, tra queste, pene che arrivano anche a 9 anni e 8 mesi. Il punto di attacco della nuova proposta di legge, dunque, sottolinea Airaudo, può essere proprio questo. Ma, dice ancora, occorre fare un salto di qualità per difendere la salute e la vita dei lavoratori: “Siamo convinti che si possa andare oltre l’omicidio colposo, ma soprattutto è indispensabile che i manager e le imprese smettano di considerare i lavoratori alla stregua di semplice ‘merce’, comunque sacrificabili sull’altare del profitto”.

Sono soprattutto i sindacati, Cgil in testa, ad insistere nel denunciare come non si faccia abbastanza per contrastare questo fenomeno. Nel mirino soprattutto il settore dell’edilizia e il lavoro nero e irregolare, causa di molti incidenti per la mancata applicazione delle regole sulla salute e la sicurezza. “Se il nostro ordinamento ha giustamente riconosciuto lo specifico del reato di omicidio stradale, non vedo perché non debba e non possa riconoscere il reato di omicidio sul lavoro, che attenta ad uno dei principi fondanti della nostra Costituzione e alla stessa coesione sociale”, va ripetendo da tempo il segretario generale della Fillea Cgil, Walter Schiavella che continua a denunciare il fatto che negli anni più bui della crisi, soprattutto in edilizia, “il sistema dei controlli e le sanzioni sono stati indeboliti. Questo a causa di uno scellerato pensiero dominante secondo il quale l’uscita dalla crisi passa  dall’eliminazione di ogni impedimento alla libertà di impresa considerando i diritti dei lavoratori un costo da ridurre”. E il cordoglio di imprese e istituzioni non basta più. “Il governo e il Parlamento in primis, non possono non vedere che la sola prevenzione non è più sufficiente”. E si chiede: “Quanti, fra i datori di lavoro dei morti di questi anni, hanno subito una condanna e quanti hanno effettivamente scontato una pena efficace?”.

Del resto, i dati diffusi pochi giorni fa dall’Inail non lasciano troppo spazio all’ottimismo. Nel 2015 gli incidenti mortali sono tornati a salire, con un +16% delle denunce rispetto all’anno precedente: 1.172 casi a fronte dei 1.009 del 2014. E anche se i dati di inizio 2016 sono migliori (-14% nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2015), il quadro delineato dall’Inail è preoccupante: si registrano sì meno infortuni sul lavoro, ma crescono le morti bianche dopo un decennio di costante discesa del numero delle vittime sul lavoro. Il settore più colpito è quello delle costruzioni, con un aumento di 24 punti percentuali rispetto al 2014: da 106 a 132 vittime.

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