Un esile diaframma di diciotto voti, un infinitesimale 1,5 per cento separa il Medio Evo delle Regole ampezzane dalla modernità del Ventunesimo secolo, l’uguaglianza negata tra uomini e donne nella successione della proprietà collettiva composta da prati, alpeggi e boschi della conca di Cortina. Forse più l’effetto di una lettura formalistica delle procedure, che un sostanziale maschilismo alpino, visto che il 65 per cento dei regolieri si è espresso a favore della rivoluzione rosa. Eppure ci avevano provato già dieci anni fa a frantumare una regola vecchia di quasi 1500 anni, eretta come un baluardo della gente della montagna contro le invasioni dei Longobardi. Ma anche nel 2005 avevano resistito il retaggio, il pregiudizio, la consuetudine di riconoscersi tra le famiglie che governano questo lembo dolomitico, tra Veneto e Alto Adige.

Questa volta l’assemblea straordinaria dei circa 1.200 regolieri d’Ampezzo, ovvero gli abitanti originari, titolari della proprietà collettiva delle terre, è arrivata a una manciata di consensi dalla soglia della storica riforma. Ma su 650 voti validi, ne erano necessari almeno 434 a favore, ovvero i due terzi, per cambiare il Laudo, il “titolo qualificativo e statutario” della comunità. Si sono fermati a quota 416 e quei circa duecento regolieri irriducibili hanno bloccato la parificazione tra uomini e donne. Bocciata una norma semplicissima, ma che può sembrare anacronistica, visto che affonda le proprie radici in un tempo lontanissimo, dove la società aveva un radicamento patriarcale e le donne erano dedite solamente alla casa.

Eppure regge ancora e irradia le proprie conseguenze su 25mila ettari di prati e boschi, condivisi dalle regole di Ambrizola, Zuel, Campo, Pocol, Rumerlo, Cadin, Chiave, Lareto, Mandres e Fraina. I Consorti Regolieri (così si chiamano gli ampezzani a denominazione di origine controllata) sono portatori dell’interesse familiare, come recita l’articolo 4 del Laudo, e costituiscono “comunioni di persone e di beni” in base ai “rispettivi statuti e consuetudini”. Sullo statuto hanno vinto innanzitutto le consuetudini. Ovvero quelle secondo cui la titolarità viene tramandata per nascita ai figli maschi e alle figlie femmine solo se non hanno fratelli maschi. Non tutte le femmine, solo quelle che possono garantire l’ereditarietà della famiglia. Ecco la discrepanza che appare come un’eresia per chi guarda alla Conca di diamante da lontano.

L’articolo 7 del Laudo ci parla di un mondo che non c’è più, salvo che tra le Tofane e il Cristallo. “Sono iscritti tutti i figli maschi discendenti da un Consorte Regoliere. In mancanza di discendenti di sesso maschile, all’atto della morte del Consorte Regoliere, vi sono iscritte le figlie, chiamate ‘ereditarie’ o ‘da roba’”. Se queste ultime si sposano, “conservano e trasmettono i diritti solamente se  sono coniugate con Consorti Regolieri o loro discendenti”. I figli naturali riconosciuti, i legittimati, gli adottivi sono equiparati ai figli legittimi, sempre che siano residenti e domiciliati a Cortina d’Ampezzo. La residenza è requisito essenziale anche per i Consorti Regolieri, se emigrano sono sospesi.

Ma hanno vinto anche le singole regole, come spiega il sindaco Andrea Franceschi. “Se un’assemblea qualunque avesse espresso il 65 per cento dei consensi a favore di una riforma, si starebbe brindando. Così non è stato per un nulla, ma la discussione ha mostrato ragioni più di forma che di sostanza, perché nessuno si è detto contrario all’ereditarietà anche per linea femminile”. Franceschi è un regoliere e il suo voto vale come tutti gli altri. E spiega come sia difficile, per chi non fa parte di questa terra, capire i ragionamenti e i percorsi interpretativi. “Almeno la metà dei contrari si è limitata a considerazioni formali. Non ho sentito nessuno esprimersi contro i diritti delle donne. Hanno sostenuto che prima andavano modificati i singoli statuti delle undici regole, poi andava fatta un’assemblea generale per la riforma complessiva”.

Spiegazioni che comunque non convincono le donne. Perché alcune delle promotrici della riforma, dopo lo smacco, hanno indossato il burqa davanti alla Ciasa de ra Regoles, gridando ai diritti negati. Caustica Marta Marzotto, che conosce bene i cortinesi, essendo una villeggiante fissa: “Sono solo maschilisti, abituati così da sempre: le donne lavorano e loro vanno in osteria”.

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