Giunte comunali fiume, anche di sette ore e per due volte a settimana. E il tutto per potersi prendere i permessi retribuiti del proprio datore di lavoro, che poi è la Regione Emilia Romagna. È questo il succo delle accuse che rischiano di portare il dipendente regionale Massimiliano Vogli, fino al 2014 sindaco Pd di Malalbergo, piccolo centro alle porte di Bologna, a processo davanti alla Corte dei conti. Accuse partite da Raffaele Finelli, attualmente consigliere comunale che, con un esposto firmato insieme a un gruppo di cittadini, ha segnalato quello che a parere suo è un’anomalia. Mentre infatti in un grande comune una giunta si riunisce mediamente una volta a settimana, a Malalbergo durante il secondo mandato di Vogli si è riunita per anni con cadenza bisettimanale, molte volte anche dalle 9 del mattino fino alle 16. “Io non ci ho guadagnato niente e ho rispettato la legge”, si difende Vogli.

Il Testo unico per gli Enti locali prevede che il dipendente pubblico possa prendere un permesso retribuito dal lavoro per tutta la durata delle riunioni di giunta, oltre a ulteriori 48 ore mensili. Cosa che Vogli ha fatto per anni, in questo modo presentandosi a lavoro in Regione praticamente un paio di volte a settimana. L’esposto presentato da Finelli sia alla Corte dei Conti sia alla Procura della Repubblica spiega, inoltre, che alla Regione non sarebbe stata presentata da parte del Comune alcun tipo di giustificazione né di “puntuale documentazione” (come recita la legge sui permessi) sull’attività effettivamente svolta dall’amministrazione.

La procura della Corte dei conti dell’Emilia Romagna, guidata da Salvatore Pilato, ha inviato prima di Pasqua a Vogli, a tre dipendenti del Comune e a un funzionario regionale un invito a dedurre: in pratica si tratta di un avviso di fine indagine al quale l’ex sindaco e gli altri potranno rispondere entro un mese per cercare di evitare un processo contabile. La somma totale che i pm contestano ai cinque è di circa 90mila euro. Non risulta ci siano invece indagati nella inchiesta aperta sul fronte penale dal pm Luca Tampieri.

Massimiliano Vogli, contattato da ilfattoquotidiano.it, ricorda che durante il suo primo mandato da sindaco (2004-2009) si era messo in aspettativa non retribuita. In quel modo la Regione non gli accreditava la sua busta paga da 1450 euro, ma in compenso da sindaco guadagnava duemila euro al mese. “Nel secondo mandato (2009-2014) invece – spiega Vogli – ho pensato di usufruire dell’alternativa prevista dal Testo unico. Così il mio comune ha risparmiato mille euro al mese per la mia indennità, 60mila euro risparmiati in 5 anni per un comune di meno di 10mila abitanti”. In sostanza, senza la aspettativa, il suo stipendio da sindaco si è dimezzato, da duemila a mille euro. “Per una questione di conguagli fiscali alla fine del mese, sommando gli stipendi di amministratore e di dipendente regionale, prendevo comunque duemila euro al mese. A limite ci avrà guadagnato un ente e rimesso un altro, ma io non ci ho guadagnato niente”.

E a chi gli fa notare che quelle riunioni così lunghe sembrano congegnate solo per usufruire di permessi altrettanto lunghi, Vogli replica: “Avrei messo su tutto un marchingegno per prendere gli stessi soldi di prima?”. Poi l’ex primo cittadino spiega che il suo concetto di giunta va considerato in forma ben più ampia del solito: “Noi non avevamo dirigenti e durante la giunta non facevamo solo delibere, ma per esempio incontravamo i responsabili di settore. In un piccolo comune funziona così. E poi dal 2012, con il terremoto che ha colpito anche il mio comune, sa quanto lavoro e quante ordinanze c’erano da fare?”.

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