I guai giudiziari per Marcello Dell’Utri non finiscono mai. In carcere in carcere a Parma per scontare la pena definitiva di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, nel corso degli ultimi mesi il fondatore di Forza Italia è stato rinviato a giudizio per l’inchiesta P3, è stato condannato per un presunto abuso edilizio, è finito in un’inchiesta per la sparizione di libri e la depredazione di una biblioteca, e adesso si dovrà difendere da una nuova contestazione: una evasione da 43 milioni di euro nell’ambito della compravendita di spazi pubblicitari televisivi. La contestazione arriva dalla Procura di Milano che ha chiesto il processo per l’ex presidente di Publitalia e per altre otto persone.

Le accuse a vario titolo vanno dalla frode fiscale alla omessa dichiarazione dei redditi, dalla bancarotta fraudolenta alla appropriazione indebita. A Dell’Utri, con la complicità anche di Giuseppe Donaldo Nicosia, amministratore latitante della spagnola Tome Advertising, è stato contestato di aver frodato l’erario per oltre 43 milioni di euro nel periodo 2005-2011. Frode realizzata attraverso gli spazi commerciali venduti dai concessionari Publitalia 80 e Rti per le reti Mediaset e da Sipra spa per le reti Rai (non indagate), con l’interposizione di società “cartiere”, ‘gonfiando’ così i costi e tramite fatture inesistenti per circa 258 milioni. L’udienza preliminare si aprirà il 26 febbraio davanti al gup Anna Zamagni.

Secondo la ricostruzione del pm Sergio Spadaro, titolare dell’indagine, la frode in realtà avrebbe sfiorato i 50 milioni, in quanto è stato appurato che sarebbe cominciata nel 2003. Ma per il 2003 e il 2004 il reato è prescritto. Dal capo di imputazione risulta che lo “schema di frode” architettato si sarebbe basato su “passaggi commerciali fittizi volti a creare indebiti crediti Iva e dirottare su conti extrasociali”, quelli esteri di Nicosia o di persone a lui vicine, parte degli “importi non versati all’erario”,

Come si legge negli atti dell’inchiesta, i principali concessionari nazionali vendevano spazi pubblicitari su tv e media alla spagnola Tome, che operava senza dover versare l’Iva “in virtù del regime di acquisti intracomunitari”, e della quale non solo Nicosia era socio e amministratore: anche Dell’Utri è indicato dal pm come “socio dal 2000 al 2012, socio di fatto, nonché figura di riferimento per clienti e concessionari”. Dopo di che, la Ics srl, “società cartiera italiana, acquistava i medesimi” spazi pubblicitari dalla spagnola Tome, “pagando un prezzo non comprensivo di Iva” sempre in forza del regime degli acquisti intracomunitari, omettendo quindi “di presentare la dichiarazione dei redditi e dichiarazioni Iva”.

Infine due società italiane della Tome Sl, la Tome Group Advertising media e la Tome Advertising Group, avrebbero comprato (per venderli ai clienti finali) gli spazi pubblicitari dalla Ics srl, “versando un corrispettivo comprensivo di Iva” in base “alla normativa nazionale e dichiarando un correlativo credito Iva”. Un meccanismo, questo, che avrebbe avuto, tra l’altro, l’effetto, scrive il pm, di far maturare “ingenti crediti Iva” alle due società italiane della Tome e di scaricare il debito sulla “cartiera Ics” poi fallita. Per questo, tra le varie accuse ipotizzate nei confronti di Dell’Utri, ci sono anche il concorso in bancarotta fraudolenta e, per una diversa vicenda, un’appropriazione indebita per aver sottratto 283mila euro dalle casse della Nomen, società di cui è amministratore unico. Il nome di Nicosia era già apparso in passato, in un’indagine palermitana, per i suoi rapporti economici con il fondatore di Publitalia.

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