Quella per bancarotta fraudolenta aperta ieri dalla Procura di Arezzo è la quinta indagine nei confronti di Banca Etruria e dei suoi ex dirigenti. L’ultima mossa dei pm aretini era un decisione attesa dopo che sempre ieri il tribunale fallimentare ha decretato lo stato d’insolvenza dell’istituto, finito al centro del caso delle obbligazioni subordinate. Al momento non si ha notizia di iscrizioni nel registro degli indagati, ma le indagini, delegate alla Guardia di Finanza, punteranno sulle attività degli ultimi due consigli di amministrazione, compresa dunque la gestione dell’ex presidente Lorenzo Rosi e dei vice Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre del ministro Maria Elena.

Si tratta, come detto, del quinto filone di inchiesta sulla vicenda Etruria. Nell’ambito di quello per ostacolo alla vigilanza è arrivata il 3 febbraio la richiesta dei primi rinvii a giudizio: il procuratore Roberto Rossi ha chiesto il processo per l’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex direttore generale Luca Bronchi e l’ex direttore centrale Davide Canestri. Si sono poi concluse le indagini sul secondo filone, quello per false fatturazioni, a carico di Fornasari, Bronchi e di Fabio Palumbo e Ernesto Meocci, rispettivamente ex presidente ed ex amministratore delegato della finanziaria romana Methorios, che secondo l’accusa avrebbe emesso le fatture inesistenti. Resta aperto il filone di indagine relativo al conflitto di interessi, che vede indagati Rosi e Nataloni. Il quarto filone è quello della procura di Civitavecchia per truffa e istigazione al suicidio del pensionato Luigino D’Angelo, che si è tolto la vita dopo aver perso i risparmi investiti in obbligazioni subordinate. Per quanto riguardo l’ultimo filone, è facile prevedere che al centro delle indagini delle Fiamme Gialle ci saranno le consulenze da 17 milioni di euro, la liquidazione a Bronchi da 1,1 milioni di euro, i premi aziendali e i fidi concessi agli imprenditori considerati “vicini” ai dirigenti di Etruria.

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