È di oggi la notizia che in Zimbabwe la Corte costituzionale ha sancito come età minima legale per sposarsi i 18 anni. Perché una sentenza del genere viene definita storica? Il motivo è nella volontà esplicita delle legge di contrastare la pratica dei matrimoni precoci, un fenomeno che nel paese sfiora il 31% ma che è diffuso e comune in diverse zone del mondo.

La decisione presa nel Paese africano è il risultato della denuncia di due ragazze, Loveness Mudzuru e Ruvimbo Tsopodzi, che costrette al matrimonio molto giovani, hanno portato alla Corte il loro caso. Ma non rappresentano certo una rarità: sono, infatti, moltissime e dolorose le storie che coinvolgono le giovani e giovanissime di diversa provenienza che si ritrovano sposate, spesso contro la loro volontà, o quando non sono in grado di scegliere sul proprio futuro. La conseguenza immediata e più lampante è legata alla salute, quasi sempre infatti le spose bambine sono anche madri bambine.

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Si calcola che ogni giorno, nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, circa 20mila ragazze sotto i 18 anni partoriscono, ossia 7,3 milioni all’anno. Di queste circa 2 milioni hanno meno di 15 anni. Se si includono tutte le gravidanze, anche quelle che non arrivano al parto, il numero è molto più alto: il corpo di una bambina non è pronto ad affrontare uno sforzo simile. Così, ogni anno muoiono 70mila adolescenti che per complicanze legate alla gravidanza. E sono 3,2 milioni gli aborti a rischio. Il 95% delle nascite da madri adolescenti si verifica nei paesi in via di sviluppo, dove d’altronde si concentra l’88% di tutta la popolazione adolescente. Ma anche nei Paesi cosiddetti sviluppati il fenomeno è in aumento: ci sono 680mila adolescenti madri ogni anno, la metà delle quali negli Stati uniti. Questi sono i dati forniti da Unfra, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, in uno dei suoi ultimi rapporti annuali dedicati alle gravidanze precoci, Madri bambine, edizione italiana cura di Aidos.

Una legge è necessaria e l’impegno dei governi affinché venga rispettata fondamentale, ma bisogna agire anche su altri piani, come garantire a donne e ragazze l’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e finanziare programmi volti all’empowerment femminile, nonché al rispetto dei diritti umani.

Alla base di questo fenomeno, che ha ovviamente delle varianti culturali, ci sono cause complesse e collegate tra loro, tra cui la povertà e la mancanza di educazione ma sopratutto la disuguaglianza di genere che non lascia le ragazze e le donne libere di decidere se, come e quando sposarsi e avere una gravidanza. Non dimentichiamo che la gender equality è anche al centro della nuova Agenda di sviluppo che ci accompagnerà fino al 2030 e che è definita universale, non c’è infatti paese al mondo che può affermare di avere raggiunto una piena ed effettiva parità di genere. Donne e adolescenti continuano a essere maggiormente colpite da povertà, ingiustizia, violenza, malattia, discriminazione e dalla grave mancanza di accesso alle risorse e ai servizi.

Lavorare sull’empowerment vuole dire quindi rendere le ragazze consapevoli dei propri diritti e dargli l’opportunità di scegliere il proprio futuro. Contemporaneamente, è importante sensibilizzare le famiglie e le comunità affinché siano maggiormente consapevoli dell’impatto che la pratica dei matrimoni precoci ha sulla ragazza e sulla comunità. Ben vengano, dunque, le leggi e i governi che le tutelano, ma senza dimenticare di mettere al centro di politiche e programmi nazionali e internazionali le ragazze in quanto protagoniste: non solo come “beneficiare” ma come “agenti di cambiamento” capaci di portarci verso il futuro e ambizioso scenario proposto dall’Agenda.

L’eliminazione della pratica è una questione cruciale di sviluppo e di rispetto dei diritti umani.
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