google glass interna nuova

Da ormai qualche mese che l’Ad di Facebook Mark Zuckerberg, dopo aver acquistato per due miliardi di dollari il colosso della realtà virtuale Oculus VR, annuncia l’imminente evoluzione del suo social network nella sfera della cosiddetta “augmented reality”.

La “realtà aumentata” è ciò che tutti i futurologi prospettano e celebrano da anni, per consacrare al progresso tecnologico il prossimo destino del genere umano: una specie di sterminato serbatoio virtuale in grado di arricchire la percezione sensoriale umana, proiettandovi pulsioni, consuetudini, scambi e – in una parola – esperienze. Per non parlare poi degli ameni orizzonti dischiusi alla nostra quotidianità dal cosiddetto “internet of things”, espressione golosamente evocativa con cui ci si riempie volentieri la bocca, proprio per certificare alla nostra impazienza che ogni oggetto con cui entriamo in contatto – dal tosaerba al tostapane – sarà presto messo in condizione di scambiare informazioni con la rete. E che dire, infine, degli attesissimi ma inarrivabili “google-glasses”, gli occhiali con webcam integrata che – tecnologicamente già fruibili ma bloccati in molti paesi dalle normative sulla privacy – consentono di proiettare in rete ogni cosa che vediamo, esattamente come se il nostro nervo ottico fosse direttamente collegato non al cervello, ma a qualche server di Mountain View?

Effettivamente questo scenario, al cui confronto impallidisce perfino la sceneggiatura di Matrix, è proprio quello che consentirebbe agli abitanti del pianeta di soddisfare un’infinità di bisogni insopprimibili e mai sperimentati: esattamente ciò che serve a un capitalismo sempre più agonizzante per sopravvivere ancora qualche anno.

La realtà di cui avremmo un disperato bisogno è invece una realtà diminuita. Perché ne abbiamo già troppa, di realtà, per inventarcene addirittura un’altra virtuale. Abbiamo bisogno di diminuire la realtà delle code in tangenziale sei giorni la settimana (cinque per andare in ufficio e uno al supermercato): e avremmo invece bisogno di strade di montagna, lente e silenziose, che non siano percorse da autoveicoli; ma non soltanto per qualche giorno l’anno, magari durante la settimana bianca trascorsa sulle piste da sci con la neve trasportata da un elicottero, perché c’è troppo caldo: no, ne avremmo bisogno sempre.

Abbiamo bisogno di diminuire la realtà di una vita lavorativa condotta ai ritmi sempre più frenetici con cui presunti samaritani graduati, per il solo fatto di occupare un gradino più in alto del nostro nella piramide organizzativa, ci rubano gli anni migliori della nostra vita, proprio con il miraggio di quella settimana bianca.

Abbiamo bisogno di diminuire la realtà dei consumi compulsivi durante il weekend, per esempio sfoltendo anziché ampliando il nostro guardaroba; o per esempio autoproducendo ciò che saremmo in grado di fare con le nostre mani.

Abbiamo bisogno di diminuire la realtà delle nostre sterminate abitazioni che, più grandi e dispersive della nostra effettiva capacità di viverle, finiscono per ridursi a un ennesimo ed effimero bene di ostentazione, di cui parlare con colleghi ed amici col solo e inconfessato scopo di destare la loro invidia. Abbiamo bisogno di diminuire la realtà delle occasioni di distrazione per i nostri figli, per tornare ad educarli al gusto della scoperta e al senso di pienezza che, soltanto in una realtà limitata e dai confini ben tracciati, può esprimersi ai massimi livelli.

Abbiamo bisogno di diminuire la realtà della scolarizzazione obbligatoria, palestra di competizione sociale e fabbrica di consumatori frustrati, anziché culla “di” e “per” giovani generazioni pensanti e, soprattutto, sognanti. Abbiamo bisogno di diminuire la realtà dei viaggi in ogni zona del pianeta con i cosiddetti voli “low-cost”, il cui costo è probabilmente “low” per le nostre tasche, ma insostenibilmente “high” per la qualità dell’aria che respiriamo. Abbiamo bisogno di diminuire la realtà della nostra salute ipermedicalizzata, vera manna dei colossi farmaceutici, che si arricchiscono più per la creazione di nuove patologie che per la cura di quelle esistenti.

Abbiamo bisogno di diminuire la realtà di tutte queste seduzioni tecnologiche con cui siamo costantemente mantenuti distratti e che, nel lungo periodo, non fanno altro che sancire l’inasprimento delle iniquità sociali, tra chi può accedervi e chi non ne ha invece la possibilità. Abbiamo bisogno di diminuire la realtà dell’espansionismo occidentale, che ci porta a ritenerci padroni e arbitri del mondo, senza minimamente preoccuparci delle condizioni di vita di chi non gode dei nostri privilegi.

Abbiamo bisogno di una realtà diminuita, non aumentata, per tornare ad essere umani.

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