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I figli – Il primo dicembre è morto Fabio Giacconi, il sottufficiale dellAeronautica ferito a colpi di pistola, il 7 novembre scorso da Antonio Tagliata, fidanzato 18enne della figlia minorenne, che uccise anche la madre della ragazza, Roberta Pierini, colpendola alla testa. Un delitto – come si dice in questi casi – assurdo (come se ve ne fossero di sensati o logici), messo in atto da una coppia di fidanzatini osteggiati nel loro amore dai due genitori della ragazza.

Come sempre accade in questi casi, a fattaccio avvenuto è partito lo scaricabarile dei: io non volevo; “è stato lui; lei mi ha spinto; non ho avuto il tempo per fermarlo. Un copione già recitato altre volte come se, così facendo, i due ragazzi volessero portare a denominatore la colpa, nellassurda convinzione che divisaper due la mancanza possa diventare meno orribile.

È, invece, proprio questo atteggiamento che dovrebbe lasciare interdetti, in primo luogo i genitori e, quindi, tutte le agenzieeducative: dalle scuole alle parrocchie, dai centri sportivi ai centri sociali e, perché no, alle organizzazioni politiche che si ricordano dei ragazzi solo quando arrivano i numeri della disoccupazione. Da tutti costoro, invece, non una parola sulle responsabilità, quelle si collettive, di una società sempre più malthusiana che ha costruito un deserto di valori lasciando le giovani generazioni alla deriva dellultimo cellulare e del paradosso comunicativo dei social. Non uno di lor signori ha tentato anche un solo balbettìo sulla disgregazione delle famiglie, sempre più sole e isolate, in cui adulti spompati e senza verve, troppo spesso lontani, frequentano e crescono degli sconosciuti. È questa langoscia che dovrebbe cogliere gli educatori di fronte ad un così grande fallimento; di fronte alla folle volontà di dilatare ladolescenza per meri motivi economici e di contenimento sociale. Unadolescenza dilatata che porta a derubricare a bambinate, azioni che i padri miei trattavano a calci nel culo e che deresponsabilizza i ragazzi fino a che la stronzata non la fanno davvero grossa e irreparabile.

Attenzione non sto giustificando i due. Voglio solo dire che non si può educare una, due, tre (chissà quante ancora) generazioni di ragazzi al disinteresse, al massimo del rendimento con il minimo dello sforzo, alla furbizia come stile di vita e al raggiungimento dei propri desideri fregandosene del prossimo e poi accorgersi che qualcuno, soprattutto il più debole, ci crede davvero e mette in pratica le cattive prassi che ha assorbito.

Già! È il più debole che, quasi sempre, si perde! Perché, fortunatamente, qualcuno che è cresciuto in contesti più forti, strutturati e sani, ancora c’è e fa da contraltare o, per meglio dire, da jaccuse alle responsabilità collettive dei figli sbagliati.

Un atto di accusa che prende le sembianze del sorriso di Valeria Solesin morta sparata a Parigi, appena una settimana dopo la signora Pierini, (il 13 novembre al Bataclan), fatta fuori da un branco dimbecilli con la testa allammasso, non molto diversi dai due di Ancona e che, come i due di Ancona, sono stati facili prede della società malthusiana dei grandi: araba o occidentale che sia. Il sorriso di Valeria, una ragazza che tutti quelli che lhanno conosciuta hanno definito come un angelo, una cittadina e una studiosa meravigliosa, come ha detto sua madre, Luciana Milani.

Un cervello in fugache, cresciuto nel cuore di Venezia, dopo il diploma al liceo scientifico, si era trasferita a Trento dove si è laureata rapidamente in sociologia per partire per un dottorato, proprio a Parigi, a La Sorbona. Qui, da quattro anni stava approfondendo il tema del ruolo delle donne divise tra famiglia e lavoro con una particolare attenzione alle differenze tra Francia e Italia. Una ricerca per capire perché nel suo Paese fosse così difficile poter essere mamma e professionista e perché importasse a pochi migliorare le cose. Una che aveva accettato di essere un cervello in fuga” (pur odiando quelletichetta) e che si rompeva la testa pensando a come dare il suo contributo allItalia.

Una tosta con un sorriso aperto davanti al quale chiunque faceva fatica a mentire. Un sorriso che ha lasciato amici sparsi per il mondo, accorsi a Venezia per il suo funerale, che hanno ingoiato le lacrime solo perché sapevano che le avrebbe detestate. Una ragazza normaleche non disdegnava i divertimenti propri della sua età ma che aveva assunto rigore e solidarietà come stile di vita unendo allo studio della sociologia lesperienza sul campo con i clochard di Parigi. Un sorriso aperto che, ancora quando era in Italia, come ha ricordato Gino Strada, prima a Venezia e poi a Trento, era stata per anni volontaria di Emergency.

Insomma il prototipo della ragazza – di testa e sentimento – che non ambiva a tenere per se i doni e le ricchezze che aveva ricevuto o che si era conquistata con il lavoro e la dedizione ma, anzi, era pronta a metterle a disposizione di chi aveva avuto di meno o era rimasto al palo. Una ragazza che qualunque padre vorrebbe avere come figlia anche sapendo che una così non ti arriva dal cielo, ma che qualcosa ce lo devi mettere anche te, come padre.

Figli armati e figli disarmati. Figli solidali e figli egoisti. Figli che uccidono i padri e figli uccisi dai loro padri. Figli senza padri e padri senza figli. Parlare di figli è parlare di padrie di madri, ovviamente.

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