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In un articolo apparso recentemente su “Le Monde”, Tzvetan Todorov concludeva la sua analisi sulla portata del binomio amico/nemico applicata a diverse situazioni e in modo particolare al terrorismo, dicendo che, per neutralizzare il nemico, non occorrono necessariamente le bombe e i missili, ma occorre coraggio e perseveranza.

Sembra un richiamo banale e poco appropriato ma se lo esaminiamo da vicino, questo invito ci porta a considerare altri aspetti diversi da quello militare. Dietro gli atti di terrorismo vi sono pur sempre delle persone con le loro storie, le loro motivazioni, le loro emozioni sulle quali è sempre possibile agire. Cerchiamo di seguire questa pista per vedere dove ci porta.

Abou Bakr Al Bagdadi si è autoproclamato Califfo in una situazione favorevole perché questa iniziativa prendesse piede, ovvero in un contesto regionale fragile e diviso. Califfo e leader del jihad globale, è diventato un uomo ricchissimo essendo divenuto padrone di banche, di pozzi di petrolio, contrabbandiere e uomo politicamente influente con l’aiuto compiacente di alcune potenze regionali. Tutto ciò grazie alle conquiste territoriali e a un disorientamento del mondo arabo musulmano uscito dall’esperienza delle rivolte del 2011.

Direi di più. Per certi versi le rivoluzioni in alcuni paesi della riva sud del Mediterraneo, non avendo avuto una conseguenza felice, hanno innescato un processo di malcontento e di sbandamento che è stato capitalizzato da Al Bagdadi con una propaganda che ha mirato al superamento della logica di Al Qaida e all’affermazione che è possibile unificare la umma dei credenti, di vivere già da adesso in uno stato retto dalla sharia ma che -per fare questo- bisogna intraprendere una guerra totale contro i miscredenti.

Ognuno può capire quanto siano ambiziosi questi propositi. Per avere una qualche speranza di riuscita, il Califfo ha bisogno di mostrare che la sua azione prosegua di successo in successo. In questa logica la cosa più importante era dotarsi di un apparato di comunicazione che avesse una sua logica intrinseca, che nulla aveva a che fare o poco con quello che avveniva realmente.

Molto spesso siamo stati spinti ad analizzare questa propaganda invece dei fatti concreti. Sul terreno militare, ad esempio, il Califfo si è scontrato con un residuo di truppe di Bachar al Assad e con i curdi mal equipaggiati e, nonostante ciò, spesso questi ultimi hanno avuto la meglio. Inoltre, non bisogna dimenticare che le conquiste non determinano solo entusiasmi. La spietatezza delle esecuzioni degli stessi sunniti che si sono mostrati poco entusiasti delle azioni dell’Isis, hanno determinato nei territori un malumore che esploderà al momento giusto togliendo ad Al Bagdadi quell’appoggio di opinione pubblica che ha permesso la sua ascesa.

Inoltre, l’opposizione siriana riunitasi a Ryad il nove e dieci dicembre, superando le divisioni che l’ha caratterizzata, ha elaborato una piattaforma comune nella quale ha accettano di stabilire un dialogo con i rappresentanti governativi ma non con Al Assad. Si tratta del rilancio della dichiarazione di Vienna dell’ottobre scorso sottoscritta da sedici stati. Tutto ciò può preludere ad una possibilità: rafforzare l’ipotesi di organizzare truppe di terra che siano gestite dagli oppositori di Al Bagdadi con il sostegno aereo della coalizione e di tecnici militari. Si toglierebbe al Califfo un argomento di propaganda anti occidentale a cui sarebbe ricorso se truppe straniere fossero sbarcate sul suolo musulmano. Se questi piani funzioneranno, possiamo prevedere che anche la posizione della Russia verso Al Assad cambierà a condizione che gli si garantisca lo sbocco nel Mediterraneo dalla Siria, si tolgano le sanzioni economiche e con la sconfitta del califfato.

Se queste ipotesi di lettura sono corrette, mi chiedo cosa significa questo allarme apparso su molti giornali secondo cui l’Isis stesse avanzando in Libia e che addirittura Al Bagdadi era in Libia e –mi chiedo – se anche fossero vere queste notizie, se esse non vadano come una avanzata dell’Isis, ma piuttosto come un segno di difficoltà del Califfato. Sembrerebbe, infatti, che oggi stia avvenendo un reclutamento forzato per una riduzione degli indici di quello spontaneo. E ancora, non bisogna sottovalutare la fatwā che autorizza le donne a combattere mentre tutta la propaganda dell’Isis era fondata sulla donna regina della casa e istitutrice del vero Islam verso i propri figli. Inoltre, si registrano problemi finanziari per pagare le truppe: i salari sono passati da 364 euro a 73 euro e infine anche alcuni movimenti di contestazione registrati a Mosul. Questo stato di cose porterà, probabilmente, nel breve periodo l’Isis a tentare di ridare lustro alla sua immagine attraverso l’organizzazione di altri attentati in Occidente.

Bisogna vigilare e non avere paura e bisogna allearsi con la stragrande maggioranza di musulmani che vogliono vivere in pace.

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