Fuad Abu Hamada è accusato di essere l’organizzatore di una traversata in cui sono morti circa quattrocento migranti, per metà donne e bambini. Non una disgrazia – se così si possono chiamare le tragedie del mare provocate da carrette scassate e sovraccariche – ma l’atto deliberato di uno dei trafficanti, che ha speronato l’imbarcazione condotta da un “collega”, dopo il rifiuto di quest’ultimo di trasbordare il carico umano su un natante ancora meno sicuro.

Il 18 settembre 2014, nove giorni dopo il naufragio, la Procura della repubblica di Catania ha inoltrato alla Repubblica Araba d’Egitto un ordine di custodia cautelare per Fuad, accusandolo di associazione a delinquere e procurato ingresso illecito. Non di strage, perché i pm non hanno potuto appurare se fosse consapevole dello speronamento. L’Egitto ha restituito l’identificazione del boss: “Nato ad Aleppo (Siria) in data 1.7.1964”. Poi più nulla. Così finiscono molte indagini contro le organizzazioni criminali che stanno dietro l’eterna emergenza sbarchi. Si arrestano gli scafisti, ma i capi riescono quasi sempre a cavarsela. E a continuare un business che mostra diversi punti di contatto con le attività dell‘Isis.

La ricostruzione della strage nella traversata organizzata da Fuad

Il procuratore generale di Roma Giovanni Salvi ha parlato recentemente di un “pizzo” imposto dai jihadisti sulle rotte di terra nordafricane utilizzate dai trafficanti. Rotte che, secondo diversi analisti, i miliziani nigeriani di Boko Haram percorrono per combattere di fianco all’Isis in Libia. Una scheda telefonica di Abdel Majid Touil, il giovane marocchino arrivato in Italia su un barcone e ingiustamente accusato della strage del Bardo in Tunisia, è finita in mano ai suoi scafisti e – come ha documentato Paolo Biondani sull’Espresso – è stata poi utilizzata nell’organizzazione dell’assalto al museo. Bassam Ayachi, l’imam indicato come indottrinatore di alcuni dei terroristi del tragico 13 novembre parigino, era stato arrestato a Bari nel 2008 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il legame tra sbarchi e arrivo di terroristi è buono più per la propaganda politica che per altro, ma una maggiore sintonia internazionale sul fronte dei trafficanti potrebbe fornire anche informazioni ultili per la lotta ai fanatici del Jihad.

“Da parte dell’Egitto c’è una totale mancanza di collaborazione”, spiega a ilfattoquotidiano.it il pm della Direzione distrettuale antimafia di Catania Rocco Liguori, impegnato anche nelle indagini su Fouad Abu Hamada. E questo nonostante il Paese sia firmatario della Convenzione Onu contro la criminalità organizzata transnazionale siglata a Palermo nel 2000, nonché del protocollo addizionale specifico sul traffico di migranti. Dal Cairo, però, nessuno è mai stato estradato. E quando di mezzo c’è la Libia, altro nido di trafficanti, peggio che peggio. Nel caos del Paese che fu di Gheddafi “c’è una totale mancanza di referenti istituzionali”. Tra Catania, Siracusa e Ragusa nel 2014 sono sbarcati 79mila migranti, quasi la metà del totale nazionale, pari a 165mila. Gli sbarchi- dicono i dati della Dda di Catania – sono stati 263, con 61 fermi di scafisti. Dal 2011 il Tribunale ne ha rinviati a giudizio 191, e le condanne in primo grado sono state 110.

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