Leggo sul Corriere della Sera del 22 ottobre un articolo a firma di Sergio Rizzo sui casinò italiani, parla del fatto che quelli esistenti sarebbero in perdita e del progetto di aprirne 4 di nuovi.
Sono perplesso, mi sembra un film diverso da quello che ho visto io.

Però ormai è una credenza diffusa, i casinò italiani sarebbero in perdita e i Comuni piangerebbero perché devono ripianare il bilancio. E i giornali fanno da amplificatore acritico, compresi i quotidiani locali di Venezia, la città dove ha sede forse il più celebre fra i casinò italiani. Per Sanremo, Saint Vincent e Campione non posso parlare, non ho approfondito le rispettive situazioni, ma per Venezia sì che posso, e la storia è assai diversa da quella che ci raccontano. Vi riporto alcuni dati raccolti in un’analisi che ho fatto come associazione Venezia Cambia.

Il 2 marzo scorso il Comune di Venezia ha fornito i dati sul bilancio del Casinò Municipale.

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L’andamento è molto evidente e non ha bisogno di particolari commenti, il saldo attivo del Casinò è passato dai 100 milioni di un decennio fa ai 16 milioni del 2014. Comunque è sempre un’azienda in attivo, hanno sottolineato in molti, politici compresi.
Più in dettaglio:

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Dunque, nel 2014 sono rimasti 16 milioni. Poco, pochissimo, ma pur sempre qualcosa. Se questa è la situazione, allora un cittadino non capisce come solo 3 mesi più tardi il bilancio 2014 venga chiuso con circa 6 milioni di perdita… ma non abbiamo visto che ci sono 16 milioni di attivo? Il fatto è che fra Comune e casinò è in corso una convenzione secondo la quale tutti gli incassi lordi del casinò vanno al Comune, che ne gira al casinò stesso il 75% per la sua gestione, trattenendosi quindi il 25%. Indipendentemente dal risultato economico: 75% e 25%.

Ora nel 2014 il casinò ha incassato complessivamente quasi 100 milioni e il Comune si è tenuto quasi 25 milioni. Ma abbiamo visto che il casinò nel 2014 ha prodotto un utile di 16 milioni e così nel bilancio si ritrova in passivo e il Comune – quello stesso Comune che di milioni se ne è già tenuto 25 – è costretto a correre ai ripari. Ma chi garantisce queste presunte perdite del casinò se non il Comune stesso che ne è proprietario? E allora che senso ha tutta l’operazione? Il Comune fa una convenzione con se stesso (perché comunque il Casinò è suo) e poi interviene se le cose non funzionano? Per non parlare dei magheggi finanziario-immobiliari perpetrati negli anni, della società scomposta in scatole cinesi, col Comune che la usa come un bancomat riempiendola di debiti insostenibili. Ma che c’entra tutto questo con l’azienda? C’entra solo con l’inadeguatezza della politica veneziana!

E che dire della gestione. Finché era il periodo delle vacche grasse il Comune di Venezia incassava oltre 100 milioni all’anno e tutto il resto passava in secondo piano: la gestione clientelare, il nepotismo, l’inefficienza, i costi eccessivi compresi quelli del personale (a tutti i livelli). Tutti avevano la loro fettina di torta. Ma ora in 10 anni gli incassi si sono dimezzati (da 200 a 100 milioni), mentre le spese, seppur altalenanti, sono rimaste dello stesso ordine di grandezza. L’incidenza percentuale delle spese sugli incassi fino al 2011 si era mantenuta intorno al 40%, ma dal 2012 la percentuale sale al 75% delle spese, vuol dire che il Casinò spende per gestire (o meglio, mal-gestire) i tre quarti di quello che incassa; ci aggiungi poi tasse e contributi, restano i 16 milioncini di saldo.

Certo, complice di questa situazione è lo Stato, che ha permesso la proliferazione delle gaming machine fuori dai casinò (le slot, per intenderci, su cui abbiamo il record del mondo!), ma ci ha messo tanto del suo anche una dirigenza inetta, una dirigenza di nomina politica, magari con cariche barattate in anticipo in cambio di appoggio elettorale all’ex-sindaco Orsoni (sì, quello stesso dello scandalo Mose), come già scrivevo su questo blog nel 2012, quando c’era in ballo la cessione del casinò ai privati, poi fallita.

Cerchiamo di capirci, io non sono per nulla contro i casinò, per certi versi i casinò potrebbero anche essere utili nell’affrontare il problema del gioco d’azzardo patologico, provate a immaginare: via tutte le macchinette da bar, via tutte le sale slot e via libera invece a nuovi casinò, con regole chiare, con controlli severi, con competenza ed efficienza, trovando un equilibrio tra l’economia e l’etica. Quanto più difficile sarebbe per il povero diavolo decidere – più o meno coscientemente – di andare a rovinarsi cercando l’alienazione davanti a una slot. Ma naturalmente il mio resta un sogno, non c’è nessuna intenzione di procedere in tal senso, nessuno intende togliere le slot dai bar e dalle sale, anzi, al contrario; e nessuno intende modernizzare e rendere più etici i casinò italiani, anzi, al contrario.

Il progetto di aprire 4 nuovi casinò viene infatti proprio da Federgioco, la federazione dei 4 casinò esistenti, cioè siccome questi hanno dimostrato di non saper gestire i loro, accumulando – secondo quanto riportato da Rizzo sul Corriere314 milioni di perdite in un decennio, hanno ben pensato di gestirne altri 4, lasciando però il 51% dell’impresa direttamente allo Stato, che potrà coprire ogni malefatta. In altre parole, vogliono altre 4 vacche da mungere fino a farle cadere stremate.

E in mano di chi è finito questo bel progetto? Beh, del sottosegretario Pier Paolo Baretta, quello stesso del famigerato decreto pro-lobby dell’azzardo, di cui abbiamo già parlato proprio in questo blog, in questo articolo del 2 luglio e in quest’altro del 12 luglio.

Comunque adesso le cariche sono cambiate. Il nuovo presidente di Federgioco è Carlo Pagan, che a Campione è riuscito a invertire la tendenza, riportando il segno + negli incassi. A Venezia invece si aspetta il nuovo direttore generale, ma c’è un Consiglio di amministrazione fresco di nomina; due avvocati e un imprenditore di call center. Staremo a vedere se combinano qualcosa di buono.

Sarebbe comunque ora che qualcuno nel governo capisse che bisognerebbe davvero cambiare rotta, in tutto il comparto dei giochi per denaro.

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