L’intento con cui vengono fatte le leggi spesso si vede dai loro effetti: l’“abuso del diritto” non è più reato, e per questo il processo ai danni dell’ex patron dell’Ilva, Emilio Riva (morto nell’aprile 2014), due ex manager del gruppo e un dirigente della Deutsche Bank per una presunta frode da 52 milioni di euro si è concluso mercoledì con l’assoluzione degli imputati. È l’effetto del combinato disposto di due decreti attuativi della delega fiscale approvati dal governo Renzi ed entrati in vigore il primo ottobre. Il motivo? Hanno depenalizzato l’abuso del diritto, il comportamento che racchiude tutte le operazioni che, pur nel rispetto formale delle norme, realizzano vantaggi fiscali indebiti per le imprese, ma con effetti anche sulla frode fiscale realizzata proprio mediante esso.

Nel febbraio dello scorso anno, oltre a Emilio Riva, erano stati mandati a processo Mario Turco Liveri e Agostino Alberti, rispettivamente responsabile finanziario e responsabile fiscale (nonché componente del cda) del gruppo Riva, e Angelo Mormina, per l’incarico avuto in qualità di managing director di Deutsche Bank (filiale di Londra). L’accusa nei loro confronti era di aver violato l’art. 3 della legge 74/2000 (“dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”), al fine di evadere le imposte sui redditi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l’accertamento, indica elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi. In questo caso, l’accusa era di aver “creato” elementi passivi fittizi per poter poi pagare meno tasse.

Gli indagati, in sostanza, nella dichiarazione dei redditi per il 2007 “ponevano in essere una complessa operazione di finanza strutturata all’unico scopo di consentire alla consolidata Ilva Spa l’abbattimento del reddito, mediante l’utilizzazione di elementi passivi fittizi per 158 milioni di euro e conseguentemente per la consolidante Riva Fire Spa, una pari riduzione della base imponibile per un’evasione di imposta Ires pari a 52,4 milioni di euro”, si leggeva nel capo di imputazione. Ieri la prima sezione penale non ha fatto altro che accogliere la richiesta del pm Stefano Civardi formulata proprio alla luce delle modifiche apportate dalla riforma fiscale alla legge 74 del 2000: gli imputati hanno pagato le sanzioni amministrative (per Emilio Riva il reato si è estinto con la sua morte).

Cos’è successo? Il primo decreto fiscale ha depenalizzato l’abuso del diritto, mentre il secondo (che ha riformato i reati tributari) ha chiarito che questo non può essere associato alla frode prevista dall’art. 3 della legge del 74 del 2000. In esso sono state ricomprese le “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” (art. 1), che però non integrano quelle previste dall’abuso d’ufficio. E per quest’ultimo restano solo le sanzioni amministrative. “Il fatto non è più previsto dalla legge come reato” è infatti la formula scritta nel dispositivo con cui al Tribunale di Milano si è chiuso il processo.

Nel febbraio scorso, il pm Francesco Greco, capo del pool reati finanziari della Procura di Milano si era detto preoccupato in relazione ai decreti fiscali per “il contrasto che si potrebbe creare tra frode fiscale e abuso del diritto, perché io non ho mai visto un caso di abuso del diritto che non fosse fraudolento”. Il contrasto è stato sanato così. Nell’aprile scorso, Confindustria ha esultato per il varo del decreto sull’abuso del diritto da parte del Consiglio dei ministri: “Finalmente l’Italia si dota di una norma generale anti-elusiva come richiedevamo da tempo”.

di Carlo Di Foggia e Valeria Pacelli 

da Il Fatto Quotidiano del 29 ottobre 2015 

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