Una lettera indirizzata al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Per chiedergli apertamente di non firmare gli ultimi 4 decreti attuativi del Jobs Act, licenziati dal Consiglio dei ministri il 4 settembre scorso. È quella che sette deputati e tre senatori del Movimento 5 Stelle (M5S), fra cui la ex capogruppo alla Camera Roberta Lombardi e il presidente degli eletti a Palazzo Madama Gianluca Castaldi, hanno fatto pervenire (vedere immagini in basso) sul tavolo del capo dello Stato proprio in queste ore. Non come semplice atto di rimostranza contro una legge su cui hanno già dato battaglia nelle aule parlamentari. Ma perchè, fanno notare nella missiva, i ritardi nell’approvazione dei decreti sono “fuori legge”.

Il perché è presto detto: una norma risalente al lontano 1988, la numero 400 (richiamata da uno degli articoli della legge di riforma del mercato del lavoro), dice infatti che “il testo del decreto legislativo adottato dal governo è trasmesso al presidente della Repubblica, per la emanazione, almeno venti giorni prima della scadenza“. Ma il provvedimento in questione, come ricordano gli esponenti del M5S, scade il 16 settembre: quindi Mattarella avrebbe dovuto averli a disposizione entro e non oltre il 26 agosto. Con Parlamento e governo nel pieno della pausa estiva. Visti i ritardi, dunque, l’inquilino del Colle avrebbe ora a disposizione solo dodici giorni e non venti per esaminare quattro testi legislativi di una norma così importante come il Jobs Act. Una lampante violazione della legge 400, secondo i grillini.

Ecco perché i dieci esponenti del movimento di Beppe Grillo non ci stanno e passano al contrattacco. “Alla mortificazione delle prerogative parlamentari – scrivono – non può e non deve aggiungersi un ulteriore smacco, questa volta rivolto al più alto presidio delle nostre strutture democratiche”. Anche perché, secondo Lombardi e colleghi, “il modus operandi dell’esecutivo è stato caratterizzato da estrema lacunosità nella determinazione di principi e criteri direttivi della legge n. 183 del 10 dicembre 2014 cui sono seguiti decreti attuativi strabordanti rispetto ai medesimi criteri con la conseguente configurazione di un grave eccesso di delega“. E ancora, denunciano, “lo stesso iter parlamentare nella Commissione competente è stato caratterizzato dal mancato accoglimento di qualsivoglia spunto offerto dai gruppi di opposizione in sede di esame dei pareri consultivi e comunque dalla totale assenza di dialettica parlamentare”.

“Siamo di fronte all’ennesimo attacco che compromette l’equilibrio tra poteri“, dice a ilfattoquotidiano.it Claudio Cominardi, capogruppo del M5S in commissione Lavoro alla Camera. “Dopo aver visto stuprare il Parlamento con decreti incostituzionali, leggi che passano in aula senza il vaglio di merito delle commissioni e deleghe in bianco su cui viene posta la fiducia – attacca il deputato grillino –, ci mancava questo che è addirittura un affronto al presidente della Repubblica. Nemmeno Mattarella, scelto dallo stesso premier per il Colle più alto, conta più nulla? Renzi pensa di poter trattare il capo dello Stato come una Boschi qualunque? Noi speriamo ancora che il Quirinale batta un colpo su quei decreti e non li firmi”, conclude.

Una vicenda, quella fin qui descritta, su cui nei giorni scorsi si era espresso – proprio dalle colonne del Fatto Quotidiano – anche l’avvocato Gianluigi Pellegrino. “Ciò che è gravissimo è il vulnus al presidente della Repubblica”, ha spiegato il legale del Movimento difesa del cittadino. “In termini oggettivi, è un modo per innescare una sorta di ricatto istituzionale: o firmi così come è o sei tu a far scadere la delega”. In questo modo, ha concluso Pellegrino, “l’esecutivo finisce con il ridurre a orpello le prerogative del presidente della Repubblica”. Una circostanza che rischia di rappresentare un pericoloso precedente. A meno che Mattarella, come si augurano i 5 Stelle, decida di non firmare i decreti.

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