Quel megatraliccio non attraverserà l’Isonzo. Non ferirà un luogo simbolo della storia italiana sconvolgendo il paesaggio e l’ambiente. Lo ha deciso il Consiglio di Stato con una sentenza depositata ieri (scarica) che ha definitivamente bocciato la Valutazione di impatto ambientale dell’elettrodotto di Terna che doveva fendere la piana del Friuli tra Udine e Redipuglia, lungo un tracciato di 39 km. Si erano opposti sette comuni, diverse associazioni, imprese agricole e linee di aviazione. L’impatto ci sarebbe stato eccome, visto che si tratta della più grande tipologia di elettrodotti, sorretta da tralicci alti 61 metri ad altissima tensione (380kw).

Terna è in fibrillazione, soddisfatti i comuni. Non parla la Regione che aveva tenuto un atteggiamento ambiguo, tanto che non si era voluta costituire in giudizio né in sede di Tar (2009), dove Terna l’aveva spuntata tre volte, né nel avanti il Cds dove il colosso energetico ha perso la sua battaglia. La sentenza è bella da leggere perché afferma una serie di principi importanti in materia di tutela del paesaggio. Su tutti, dove dovrebbe stare l’istituzione quando si contrappongono interessi diversi.

Nel caso specifico che il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali non poteva fare valutazioni comparative con altri interessi, doveva occuparsi della tutela del paesaggio. Punto. In sede di valutazione, infatti, la locale Soprintendenza già nel 2004 aveva dato un giudizio tecnico sfavorevole, ravvisando nel progetto un impatto potenzialmente devastante per l’ambiente e il paesaggio: dal “depauperamento della scenografia di tratti fluviali” all’esbosco di specie arboree di alto valore naturalistico ed ecologico. Avanza allora la proposta di interramento della linea nelle zone sottoposte a tutela paesaggistica. Ma non è solo Terna a dire di no, è il ministero da cui quella soprintendenza dipende: a distanza di sette anni, infatti, proprio il Ministero dei Beni Culturali cambia idea e si esprime favorevolmente al tracciato.

Illogico e quindi illegittimo, hanno stabilito ora i giudici, che il Ministero che ha bocciato quel tracciato lo potesse poi promuovere in virtù di considerazioni diverse, attinenti alla sfera produttiva. In soldoni, è vero che l’opera da 110 milioni di euro può garantire l’approvvigionamento alle acciaierie di Udine, ma questo non solleva il ministero dal fare il suo lavoro. “Nell’esercizio della funzione di tutela spettante al MIBAC – si legge nella sentenza – l’interesse che va preso in considerazione è solo quello circa la tutela paesaggistica, il quale non può essere aprioristicamente sacrificato dal MIBAC stesso, nella formulazione del suo parere, in considerazione di altri interessi pubblici la cui cura esula dalle sue attribuzioni”. E in una stagione dove non si capisce più chi fa l’interesse pubblico quando si parla di ambiente, pare un buon principio.

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