Un paio di forbici, una scarpa da donna in vernice azzurra, una foto in bianco e nero incorniciata. C’è un mondo fatto di piccole cose, di racconti dimenticati e storie quotidiane tutte da scoprire al Moop, il Museo degli oggetti ordinari di Parma che da qualche settimana ha aperto i battenti al Romanini-Stuard, nel cuore del quartiere popolare dell’Oltretorrente. In mostra, racchiuse tra le quattro mura di quella che sembra una casa di una volta, non ci sono opere di celebrati autori o pezzi introvabili di preziose collezioni arrivati da chissà dove. Ci sono gli oggetti comuni, quelli che fanno parte della vita di tutti i giorni, in cui rimangono impressi in modo indelebile i colori, gli odori e i sapori delle persone che in qualche modo li hanno amati e consumati.

È dalle vite ordinarie dei residenti di Parma che nasce il Museo, primo in Italia nel suo genere: costruito pezzo dopo pezzo dagli abitanti della città che hanno portato utensili e soprammobili, anche rotti o sciupati, che fanno parte della propria storia famigliare. L’idea è nata dal lavoro di Christian Carrignon e Katy Deville, fondatori del Théâtre de Cuisine, una compagnia francese che dagli anni Ottanta ha collaborato allo sviluppo del movimento europeo del “teatro d’oggetti” e che in Francia ha già aperto musei simili in città come Marsiglia. Gli artisti, ospiti al Teatro delle Briciole/Solares Fondazione delle Arti per la rassegna teatrale estiva “Insolito Festival” (www.insolitofestival.org), hanno deciso quindi di provare a raccontare anche nella città ducale la comunità attraverso i suoi oggetti. Il Moop, inaugurato il 14 luglio 2015, continuerà ad arricchirsi fino al 5 agosto con i contributi dei parmigiani, che potranno affidare i propri ricordi ai “custodi” del Teatro delle Briciole, lasciandoli in prestito o definitivamente. Poi sarà riallestito a settembre per la rassegna “S-chiusi” e il progetto, ancora in divenire, è quello di renderlo permanente, in modo da trasformarlo in un punto di riferimento per la collettività.

Al Museo i pezzi vengono schedati e catalogati: chi li porta è chiamato a scrivere un’etichetta che possa in qualche modo includere la propria esperienza e contribuire alla memoria di tutti, collocandola in un tempo lontano che rimanda alla figura dei nonni. “Quando arriva una persona con qualcosa da lasciare – ha spiegato a ilfattoquotidiano.it Alessandra Belledi, del direttivo delle Briciole – parla con uno dei custodi del Moop di sé, dei suoi nonni, di quello che significa per lui quella certa cosa. Poi si cerca insieme un nesso, una frase per unire l’immaginario poetico alla realtà, in modo che quello che rimane sia un nocciolo di cuore”. C’è un momento in cui il Museo si trasforma nel salotto di una vera casa: ci si confida seduti intorno a un tavolo con la musica in sottofondo, ci si commuove srotolando i ricordi evocati da un oggetto così prezioso ai propri occhi, da decidere di condividerne la storia e di offrirlo agli sguardi di tutti. Così si sorride di malinconia di fronte a una scatola in cui da bambini si conservava il cacao per la colazione, che racchiude la lontananza di un nonno emigrato in America, o di fronte a un portapenne a forma di missile comprato in Russia, emblema della saggezza di una nonna che “ci ha sempre visto lontano”, e ancora gli occhi diventano lucidi davanti a un semplice foglio bianco per un nonno mai conosciuto.

Seguendo i fili tirati dal soffitto, attraverso giocattoli e specchi che penzolano da una parete all’altra, si riallacciano i legami con un vissuto famigliare che tocca il cuore proprio perché è di tutti e di nessuno. Si ritrovano le proprie radici nelle storie immaginate e narrate, si ricostruisce la propria memoria e quella collettiva, si riscopre il valore delle cose di sempre, quelle che stanno lì ad osservarci nel quotidiano senza fare rumore, ma che a volte, anche da sole, possono dare il senso di un’intera esistenza. “A Marsiglia – ha raccontato Deville presentando l’iniziativa – una sarta è venuta al museo con un paio di vecchie forbici da sarto e ha scritto sulla didascalia: ‘Mio nonno ha tagliato con le sue radici’. Il nonno era un sarto armeno, era stato fatto prigioniero e nessuno dei clienti della sartoria della donna sapeva questa storia. Anche il visitatore non la conosce, ma leggendo la piccola didascalia se la immagina”.

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