Ciò a cui stiamo assistendo in queste ore in terra greca supera ogni telenovela argentina. Un colpo di scena dietro l’altro: dimissioni inspiegabili, alta finanza, maggiordomi (della finanza) che sono sospettati, ricatti e debiti non pagati; e poi Putin e Obama sullo sfondo. Ma, soprattutto, uno Tsipras difficile, francamente, da capire. O tira fuori la Grecia dall’eurolager o si riallinea nella folta schiera di quella che, personalmente, non so qualificare altrimenti che come “sinistra del gruppo Bilderberg”. Lo scopriremo solo vivendo.

Sono davvero sorprendenti le ultimissime notizie dal fronte dell’Unione Europea. Dopo il referendum trionfale, Tsipras ha chinato il capo. Si è arreso alle richieste dell’Europa: ha, di fatto, messo la firma per nuovi debiti per tramite dei quali in un non lontano futuro il sistema eurocratico-bancario potrà di nuovo, con eguale forza, ricattare la Grecia.

E poi notizie che si susseguono senza tregua: “Ultim’ora. Grecia, il Fondo Monetario Internazionale chiede governo tecnico ad Atene per svolgere i negoziati”. Si chiama colpo di Stato finanziario. Un governo democraticamente eletto è ora giudicato illegittimo dal sistema bancario internazionale, che in nome delle “riforme” (in realtà in nome del tutelare se stesso) pretende di sostituirlo con un “governo tecnico” composto da suoi uomini. La storia insegna ma non ha scolari, diceva Gramsci. Ed è così! Aspettiamoci presto l’arrivo dei tecnocrati e dei taumaturghi dell’economia (l’odierna teologia della disuguaglianza sociale e dell’asservimento dei popoli), dei Montis e dei Fornerakis di turno per eseguire gli ordini della Trojka in spregio completo della volontà popolare.

Chi ha ancora il coraggio di parlare dell’Unione Europea come regno della democrazia? Chi può ancora vedere nell’Unione Europea la realizzazione dell’idea di Europa di kantiana memoria? L’Unione Europea sta realizzando, in forma economica, il delirante sogno tedesco della prima metà del Novecento.

Personalmente, devo ancora capire se Tsipras sia un erede di Marx o se sia l’ennesimo personaggio degno dello shakespeariano “tanto rumore per nulla”. Di pagliacci della sinistra del gruppo Bilderberg ce ne sono già troppi in giro. Torna, forse, di qualche attualità ciò che scrissi qualche mese fa, prima del referendum greco: Tsipras, la sinistra che sta con l’euro; la sinistra che sta col capitale e con i padroni; la sinistra che ha tradito Marx e i lavoratori. Con una sinistra così, non vi è più bisogno della destra. È la sinistra che vuole abbattere l’austerità mantenendo l’euro: cioè abbattere l’effetto lasciando la causa, ciò che è impossibile “per la contradizion che nol consente”.

Tutto questo farebbe ridere, se non facesse piangere. È una tragedia storica di portata epocale. Il quadro a cui, nell’immaginario comune, sempre più si dovrebbe abbinare l’idea della sinistra (Tsipras in testa!) non è più “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, bensì “L’urlo” di Edvard Munch: dove, tuttavia, il volto trasfigurato dal dolore e immortalato nell’atto di gridare scompostamente è quello di Antonio Gramsci, ucciso una seconda volta, dopo il carcere fascista, dalle stesse forze politiche che hanno tradito il suo messaggio e disonorato la sua memoria.

A giudicare dal suo operato nelle ultime ore, che ha mai a che fare il signor Tsipras con Marx e Gramsci? Nulla, ovviamente. Tsipras ha assistito al genocidio finanziario del suo popolo causato dall’euro e dalle folli politiche finanz-naziste dell’austerità selvaggia: egli stesso è greco. E, non di meno, vuole mantenere l’euro: non passa giorno senza che egli rassicuri le élites finanziarie circa la propria volontà di non toccare l’euro. E, in questo modo, offre una fulgida testimonianza – se ancora ve ne fosse bisogno – del fatto che Marx e Gramsci stanno all’odierna “sinistra Tsipras” venduta al capitale come Cristo e il discorso della montagna stanno al banchiere Marcinkus. Il solo modo di riscattarsi da parte di Tsipras sta – non v’è dubbio – nel rovesciare la gabbia eurocratica guidando il suo popolo fuori dal deserto chiamato Unione Europea. È sempre più difficile, purtroppo, pensare che si vada in quella direzione.

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