Atene, mezzanotte appena passata: buio pesto fuori, dopo i tagli alla spesa pubblica. Qualcuno bussa alla porta: “Toc Toc”, senza violenza, ma con decisione; e ancora bussa: “Toc Toc”. “Chi è?”, chiedono, chiusi nella sede del governo, Tsipras e Varoufakis. Aspettano, temono, che da un momento all’altro Christine Lagarde e i funzionari dell’Fmi, scoccate le 24.00 – ma quali?; di Atene?, o di Bruxelles?, o di Washington? – si presentino a esigere il pagamento della somma loro dovuta, che i greci non hanno. Sarebbe il default: la Grecia fallita, i mercato esposti alla speculazione, l’euro scheggiato, l’Ue nel panico. E se l’Fmi ripassasse lunedì prossimo, al posto di una valigetta di euro potranno forse dargli una vagonata di dracme.

Fiction pura, pur se verosimile. E’ altamente improbabile che qualcosa del genere accada: la mezzanotte, anche quella di Washington, che arriva alle 07.00 di Atene, passerà senza che nessuno si presenti ad esigere. Nessuno ha fretta che la Grecia vada in bancarotta, anzi nessuno vuole che ciò succeda. Anche se Atene, in questa trattativa, ha molte ragioni, ma pure moltissimi torti: ha truccato per anni i conti e continua a fare il gioco delle tre carte. Una volta tanto, il premier Renzi ci azzecca quando dice “Non abbiamo tagliato le baby pensioni noi per lasciarle ai greci”. Ma se anche il ministro Padoan assicura che l’Italia è solida e che non teme il contagio, nessuno ha voglia di sperimentare se e quanto ciò sia vero.

Bene o male, tra risse pubbliche e telefonate riservate, la Grecia e i partner dell’Ue si parlano e si scambiano messaggi e proposte. E, male che vada, l’Ue, la Bce e l’Fmi attenderanno l’esito del referendum di domenica, prima di tirare eventualmente le somme.

Ma la scommessa di Tsipras di chiedere ai greci di pronunciarsi con il referendum – scelta più che legittima -, di farsi dire di no e di tornare rafforzato dal voto democratico al tavolo della trattativa potrebbe rivelarsi un azzardo mal calcolato: la vittoria dei no potrebbe semplicemente mettere Grecia ‘fuori’, almeno dall’euro. E il ritorno alla dracma non lo vuole nessun ad Atene, dove i cittadini, con la corsa ai bancomat, dimostrano di preferire cento euro oggi a un milione di dracme domani.

Certo, non è questa l’Unione che vogliamo, dove la solidarietà non sta di casa. Ma la via per uscirne è più integrazione, non meno: Grecia contro Unione, dracma contro euro sono derby che giocare è sbagliato. Quale che sia il risultato, anche un pareggio, ci perdiamo tutti.

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