Nel racconto quotidiano al quale siamo sottoposti, ci sfuggono le dinamiche e i meccanismi che producono il fenomeno migratorio che proviene in buona parte dall’Africa Sub-Sahariana e approda sulle coste del Mediterraneo. Non per nostra miopia, ma perché impossibilitati a comprendere da una continua rincorsa della ricerca del consenso elettorale da parte dei protagonisti della vita politica.

Del governo Renzi non è neppure il caso di parlare: la sua incapacità è sotto gli occhi di tutti e comunque in Europa non ha alcuna influenza. Non appare però convincente la versione di Grillo che mette a fuoco solamente gli effetti dell’immigrazione percepita come una fonte di lucro per quelle cooperative che usano i migranti per aumentare il proprio profitto: il migrante è qui perché è una vacca da mungere in cambio di contributi europei o nazionali. Non si vuole negare questo aspetto, ma esso da solo non spiega che cosa spinga i migranti a mettersi in viaggio a rischio della propria vita. Né lo è quella di Salvini che individua le cause del fenomeno nella sola porosità dei confini nazionali, basterebbe chiuderli e sarebbe risolto il problema. Da dove nasca il problema nessuno però se lo chiede.

Se non si comprende il modello economico neoliberista che è la radice delle politiche europee e americane, non si comprendono le cause del fenomeno. Il neoliberismo che sorge negli anni’70, ha tre fondamentali paradigmi nel suo modello: la spesa pubblica a deficit è dannosa per il bilancio pubblico; il settore pubblico è inadeguato, costoso e inefficiente; il mercato non ha bisogno di essere regolamentato perché raggiunge da sé un naturale equilibrio. Gli Stati europei hanno incorporato nelle loro economie questo modello economico che è il motore propulsore della globalizzazione. Se si costruisce un mercato deregolamentato e privo di tutele salariali, si vuole evidentemente abbassare il costo del lavoro e promuovere la deflazione salariale. Per raggiungere questo obbiettivo l’importazione di masse di migranti dai Paesi africani è un ottimo strumento. Se si scaraventano soggetti deboli e privi di diritti sul mercato europeo, questi saranno i primi ad accettare qualsiasi tipo di condizione lavorativa: le mano d’opera locali entreranno così in competizione con gli immigrati alimentando una guerra tra poveri in cui ci sono solo perdenti.

Dal 1989 le economie degli Stati dell’Africa Sub-Sahariana si sono indebitate con istituzioni internazionali come la Banca Mondiale, che ha erogato credito a questi Paesi, in cambio di riforme che hanno portato alla privatizzazione delle aziende nazionali, alla riduzione dei salari del settore pubblico e all’abbandono del controllo dei prezzi. Dopo che latifondisti stranieri si sono impossessati per una manciata di spiccioli di interi terreni agricoli prima nelle mani del governo locale, le classi medie e basse sono sparite progressivamente e hanno lasciato posto a una larghissima maggioranza di indigenti costretta a stenti indicibili, che vedono nell’emigrazione l’ultima speranza. Il colonialismo contemporaneo non richiede più armi da fuoco. Il prestito a tassi di interesse insostenibili è un’arma ben più efficace per impossessarsi dei settori strategici di una nazione. Una dinamica che prima era ad esclusivo appannaggio dei Paesi dell’America Latina, del Sud-Est asiatico e che oggi troviamo persino nell’Europa della sedicente solidarietà, dove la Grecia in fondo sta subendo la stessa aggressione.

L’Unione Europea, dopo aver creato le condizioni per incoraggiare il fenomeno migratorio con la la nascita del mercato unico, si trova oggi di fronte agli effetti di una situazione che non è in grado di gestire: come con l’euro ha generato un Minotauro che richiede ora il sacrificio di un intero popolo così con il suo modello di sviluppo economico ha alimentato le grandi migrazioni che oggi la stanno portando alla rovina. Un’Europa che considera il popolo greco come una zavorra e che scarica il problema dell’immigrazione solo sulle spalle dell’Italia è qualcosa che assomiglia a un incubo dal quale bisognerebbe liberarsi il prima possibile.

(scritto con Cesare Sacchetti)

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