Era il giorno del pride di Verona. Diecimila partecipanti in una città difficile, Stuart Milk a guidare il corteo e tantissima gente come da tempo non se ne vedeva all’ombra dell’Arena. Perché diciamocelo in tutta onestà: le marce per l’orgoglio sono tra le poche manifestazioni di piazza che richiamano folle importanti. E sono appuntamenti che creano un’ampia rete di solidarietà. Questo era, in quell’afoso sabato veronese, il contesto: moltissimi giovani, famiglie, passeggini, ecc. Ovviamente, ci sarà stato qualche eccesso, ma il pride è anche folklore (con buona pace di quella stampa che su mille manifestanti si concentra su dieci drag queen) ed è bello che sia così. Da lì a poche ore Filippo Savarese, il leader di Manif pour tous Italia, pubblicava su Twitter una foto di due uomini nudi, chiosando: «Dal #GayPride di #Verona: cari amici omosessuali, ma perché vi lasciate offendere così?».

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C’era un aspetto, tuttavia, che il nostro ‘caro amico’ non aveva tenuto in considerazione: Google Image. Facendo le dovute ricerche, infatti, salta fuori che la foto incriminata non era stata scattata a Verona, ma a Vancouver, parecchi anni prima. Non credo che il leader del Manif lo abbia fatto con dolo: semplicemente ha creduto allo scherzo malevolo di qualche buontempone. E ha quindi dovuto cancellare il tweet, dopo esser stato giustamente ridicolizzato. Ma questa vicenda è indicativa dell’approccio che il fronte omofobo ha nei confronti della questione omosessuale: ovvero, il bisogno di creare dei ‘mostri’ e agitarli contro la minoranza gay per spaventare la massa dei ‘normali’.

Una settimana dopo, il 13 giugno, a Roma si è tenuto uno dei pride più partecipati della storia degli ultimi anni. Le cifre, come al solito, sono ballerine. C’è chi parla di trecentomila, c’è chi azzarda mezzo milione di partecipanti. Credo che il dato numerico sia di secondo ordine: il movimento Lgbt non ha parrocchie che mobilitano i fedeli sulle note delle sinfonie della paura. Fossimo stati anche solo centomila, sarebbe stato un successo indiscutibile. A quel pride c’ero. E c’erano migliaia di ragazzi e ragazze, genitori con i loro figli, fidanzati eterosessuali mano nella mano. Perfino una coppia di sposi si è fermata, per la foto di rito in mezzo alla folla. Presenti pure moltissimi scout, che congedatisi dal papa sono venuti a portare la loro solidarietà. Di fronte a questo mosaico di varia umanità, il solito buontempone da social ha di nuovo messo in giro un’immagine di due uomini nudi spacciandoli per manifestanti romani. E anche lì, vai su un motore di ricerca e scopri che la foto è vecchia e scattata altrove. In Francia, questa volta.

La nudità ai pride c’è, nessuno lo nega. E c’è l’eccesso. Si celebra con la prima la liberazione del corpo, con il secondo si ricordano quelle trans che per prime durante i moti di Stonewall, a New York nel 1969, si ribellarono alle violenze della polizia. Se non ci fossero state loro, milioni di persone Lgbt oggi non sarebbero libere. Per cui credo sia giusto che ognuno partecipi nel modo che ritiene più opportuno. Fa pensare, tuttavia, che il fronte omofobo non riesca a criticare la manifestazione nel merito, ma abbia bisogno di immagini di maschi nudi (e anche un po’ bruttini), prese dall’estero – i nostri pride sono più morigerati in verità – e spacciate come identificative di un intero evento. Mi chiedo quanta nobiltà abbia un movimento che per far valere le proprie ragioni ricorre a menzogne simili.

Il 20 giugno a Roma ci sarà il secondo Family Day. Al primo, nel 2007 partecipò l’allora presidente della provincia di Firenze, Matteo Renzi: sarà interessante vedere, a distanza di otto anni, quale politico aderirà. Girano qui per la capitale, così come sui social, volantini sulla presunta ideologia del gender’ che i gay vorrebbero imporre nelle aule con tanto di corsi di masturbazione obbligatoria. “Vorresti una scuola così per tuo figlio?”, ovviamente no. Ma anche qui non si citano fonti da cui sono tratte certe informazioni, si agita solo lo spettro della paura. Gay e lesbiche vogliono sposarsi per avere gli stessi diritti di tutti. E nessuno vuole andare in classe a ‘pervertire’ bambini. Basta leggere un qualsiasi programma di educazione alle differenze: i libretti Unar sono consultabili sul sito dell’Espresso, per capirci. Ma il fronte omofobo agita la paura e si serve di bugie. Le parrocchie fanno da sponsor, intanto. Ed è strano: per i cattolici mentire dovrebbe essere peccato.

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