La Commissione europea ha presentato oggi la sua attesissima strategia per il mercato unico digitale, come era stato richiesto dal Consiglio europeo più di due anni fa. Il piano comprende 16 iniziative da intraprendere nel corso dei prossimi cinque anni: l’accento è posto sul diritto d’autore, sulla privacy nelle reti di comunicazione elettronica  e sulla disciplina delle telecomunicazioni.

I funzionari dell’Ue stimano che il Digital Market possa apportare un beneficio molto rilevante per l’economia europea e la creazione di centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, una necessità sentita in una regione dove la disoccupazione supera la media generale dell’11%.

All’interno del piano, che per il momento prevede iniziative non legislative, vi sono proposte per favorire la “libera circolazione dei dati“, per capitalizzare la crescente economia di dati e per regolare lo “storage” dei dati di grandi dimensioni, la creazione di un servizio cloud europeo per i ricercatori, e l’ulteriore valutazione se le piattaforme Internet come i motori di ricerca, social network e app store necessitino di essere regolamentate.

I media statunitensi hanno subito espresso il timore che l’iniziativa della Commissione, che sarebbe diretta a stimolare in ambito europeo la nascita e la crescita di servizi comparabili a quelli sorti negli Stati Uniti, preluda in realtà ad una disciplina restrittiva nei confronti dei giganti dell’Internet.

Il timore è rappresentato dalla presenza nel documento di qualche frase sibillina sulla responsabilità degli intermediari del web che potrebbe preludere ad esempio all’inclusione dei social network e dei motori di ricerca nel novero dei soggetti bersaglio di una modifica delle disciplina sul commercio elettronico oppure di una decisa politica fiscale diretta a sanare le oggettive problematiche fiscali che incontrano i servizi web basati oltreoceano.

Dal punto di vista del copyright, la Commissione adotta una strategia estremamente prudente, puntando innanzitutto sull’eliminazione dei blocchi nazionali alla fruizioni di contenuti sul web, quelli per intenderci che impediscono ad un soggetto che ha acquistato legittimamente contenuti in un paese dell’unione di poterseli vedere anche in un altro Paese europeo, ed alla creazione di una disciplina armonizzata del copyright, attraverso (anche) la specificazione unitaria di alcune eccezioni e limitazioni al diritto d’autore.

Dal punto di vista dell’enforcement (ovvero della repressione), il tema che i lobbisti soprattutto italiani propongono in ogni sede, anche in assenza di qualsiasi evidenza che giustifichi la necessità di avere un enforcement civile, penale, amministrativo e forse anche “siderale”, se si eccettuano i rapporti sulla pirateria da loro stessi commissionati e poi proposti in esclusiva agli organi di informazione, va detto che manca uno specifico riferimento all’administrative enforcement (ovvero quello messo in piedi dall’Agcom, oggi sub iudice di fronte alla Corte Costituzionale).

Ed appare logico che sia così, perché la Commissione punta sul “follow the money”, ovvero sulla rintracciabilità attraverso l’analisi della pubblicità e dei flussi economici da e verso un determinato sito e sulla collaborazione degli istituti bancari e di emissione delle carte di credito per identificare i titolari di siti che adottano violazioni su scala commerciale.

Esattamente l’opposto di quello che fa Agcom attraverso i suoi ordini di inibizione che comportano la cancellazione da parte dei provider delle tracce di commissione di un illecito e l’impossibilità di giungere all’identificazione di chi opera sui portali, attraverso le modalità tracciate dalla Commissione.

Il passo successivo da parte della Commissione, prima della presentazione di proposte legislative dettagliate che dovrebbero vedere la luce ad ottobre 2015 (nel febbraio 2016, per quel che riguarda il “civil enforcement”)  è discutere il piano con i Partner nazionali al vertice del Consiglio europeo del 25-26 giugno.

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