“La democrazia muore dietro le porte chiuse della Pubblica Amministrazione”, osservò  il giudice Damon Keith della Corte d’appello del sesto circuito degli Stati Uniti, in occasione di un caso che ha visto coinvolto il Freedom of Information Act. Ci si riferisce naturalmente alle norme che consentono ai cittadini di accedere alle informazioni degli uffici pubblici.

Se queste sono le premesse non c’è dubbio che la democrazia sia morta in Italia, visti i risultati dell’accesso agli atti delle pubbliche amministrazioni da parte dei cittadini italiani.

Le richieste di informazioni dei cittadini vengono sistematicamente disattese dalle Pubbliche Amministrazioni, appellandosi formalmente all’esigenza di non esercitare un “controllo generalizzato sugli atti delle pubbliche amministrazioni”, mentre le disposizioni sulla trasparenza introdotte dal Decreto Monti del 2102, che avrebbero dovuto realizzare la trasparenza e il cosiddetto accesso civico agli atti, si sono rivelate un fallimento.

Basta vedere il caso del Consorzio Mose, che aveva formalmente una ricca sezione trasparenza, per rendersi conto che le norme esistenti non siano in grado di consentire un controllo dell’opinione pubblica sulle attività delle pubbliche amministrazioni.

In genere le pubbliche amministrazioni (centrali e locali ed anche le società partecipate) oppongono decisi rifiuti oppure non rispondono ai cittadini, mentre dal punto di vista della trasparenza si limitano a pubblicare sui propri siti solo le notizie che non mettono in pericolo le loro “manovre”. Lo spiegano bene nel loro libro Meglio se taci Guido Scorza e Alessandro Gilioli.

Ora non so quale sia lo strumento per superare questo impasse (la delega al governo in virtù del testo unico sulla trasparenza, ad esempio, oppure un Disegno di legge Governativo o Parlamentare) ma un fatto è certo, bisogna cambiare le norme. La mancanza di una precisa disposizione che imponga alle pubbliche amministrazioni di mettere a disposizione tutti gli atti che la riguardano, costituisce la maggiore spinta iniziale ai fenomeni corruttivi degli amministratori pubblici.

Se  il funzionario, il dirigente, l’organo di vertice, sa di poter  “nascondere” gli atti di una procedura, di un appalto, di una selezione concorsuale, di un’asta pubblica, si determinerà più facilmente a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio. E’ lo stesso principio che consente a qualche amministratore pubblico di eludere oggi la propria responsabilità in caso di intereressi privati in atti d’ufficio.

La norma in questione oggi non esiste più, per una precisa volontà politica spacciata per esigenza di certezza giuridica. E, così il rispetto “formale” della legge e dei Regolamenti consente a questo “qualcuno” di andare esente da pena.

Tornando al Foia va detto che la giovane parlamentare Anna Ascani del Partito Democratico, che sta facendo una meritoria battaglia su questi temi, ha annunciato, durante il Festival internazionale del Giornalismo di Perugia,  che la ministra Madia ha intenzione di inserire nella Riforma della PA anche il Freedom of Information Act Italiano, quantomeno sotto forma di una Delega al governo per modificare le norme.

Perché l’abbia detto una parlamentare e non il governo non è dato sapere, ma se questo corrisponde al vero non possiamo che salutare l’iniziativa con favore.

Si fanno anche ipotesi di date per l’approvazione, il 2016. Speriamo che i cittadini non siano costretti a morire d’inedia davanti le porte chiuse del governo in attesa dell’approvazione.

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