“Ad avviso di questa Soprintendenza, le soluzioni proposte non affrontano in modo coerente le tematiche dell’inserimento nel paesaggio delle nuove strutture o dotazioni in progetto, traducendosi in opere che appaiono capaci di snaturare in modo rilevante le particolari connotazioni dell’area interessata”. Firmato dalla soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria, Luisa Papotti, il parere sui progetti pendenti per la “messa in sicurezza” del porto di Santa Margherita Ligure infila una zeppa di non poco conto lungo il percorso già accidentato di una storia molto italiana e poco edificante dove i dané contano più della tradizione e le promesse vincono sulle statistiche.

Il parere dei beni culturali, protocollato poche ore fa, dovrà essere preso nella dovuta considerazione il prossimo 11 marzo nella conferenza dei servizi deliberante. Per una bizzarra coincidenza che lascia lo spazio ad altre congetture, il parere arriva il giorno successivo a un’inaspettata presa di posizione da parte del sindaco, Paolo Donadoni, il quale si è espresso in anticipo a favore di uno dei due progetti, quello della società Santa Benessere & Social, riconducibile al tycoon italo-nigeriano (ha il doppio passaporto) Gabriele Volpi, già patron della Pro Recco (palla nuoto) e dello Spezia Calcio, proprietario di una megavilla sulla collina di Portofino, monopolista della logistica indispensabile alle piattaforme di estrazione al largo della Nigeria. Belle parole a parte (“stiamo scrivendo una nuova storia”, ha dichiarato ieri), il sindaco non ha ancora dato spiegazioni serie a sostegno della preferenza. Qualcuno, a Santa Margherita e non solo, ipotizza che la ragione stia tutta nella maggior liquidità del proponente, rispetto ai componenti dell’Ati Porto Cavour che ha presentato il progetto concorrente.

Con la classica manovra del colpo al cerchio e il colpo alla botte, l’amministrazione comunale ha stilato una serie di prescrizioni che paiono fatte apposta per contentare tutti e nessuno. Tutele generiche aggiuntive, previsioni di fideiussioni (il contrario sarebbe grave), difesa delle strutture pubbliche (meno male) e diminuzione della durata della concessione. Dai 50 richiesti a 35 anni. Eh sì, perché a fronte di un investimento di circa 25 milioni, riguardante la sistemazione di circa 150mila metri quadrati di acque portuali e 20mila a terra, entrambe le società proponenti pretendevano di avere in gestione il porto e la parte migliore delle spiagge sanmargheritesi per mezzo secolo. Alla faccia della delibera Bolkestein che fra poco dovrebbe rimettere in gara la concessione dei litorali al miglior offerente e per durate limitate.

E’ in questo clima che la Soprintendenza è stata chiamata ad esprimersi. Fra l’altro, in pendenza di una interrogazione scritta di Stefano Quaranta, deputato di Sel, al ministro Franceschini, circa l’opportunità di controllare se i progetti rispettino i vincoli e le tutele che proteggono quel tratto di costa. Uno dei più celebri, a livello mondiale, e finora sufficientemente garantito dall’invasione del cemento e degli interventi di modifica inutili.

Ma che cosa intendono cambiare i due progetti? Appellandosi al decreto 507/97, altrimenti detto decreto Burlando (all’epoca ministro dei Trasporti), si propongono di modificare l’assetto attuale del porto, aumentando il numero dei posti barca, cambiando il profilo delle banchine e la lunghezza dei moli interni. In aggiunta, intervengono sul cosiddetto retroporto, oggi in concessione a diversi stabilimenti balneari (uno dei quali già comprato da Volpi) che ogni anno fanno il pieno di prenotazioni a cifre astronomiche. E qui, in un’area peraltro tutelata anche dalla Regione Liguria, si propone di creare tre piani, uno dei quali sottoterra, di nuove strutture che vanno dai soliti ristoranti a un centro di talassoterapia. In assenza di qualsiasi dato circa la domanda reale di questo tipo di servizi (Santa Margherita è già un florilegio di osterie, vinerie, ristoranti tutti di ottima qualità), nessuno si è chiesto se il gioco di creare l’ennesima beauty farm valesse la candela, quella cioè di rovinare una spiaggia che andrebbe sì migliorata ma magari destinandola a un uso pubblico, in una città dove il rapporto tra arenili pubblici e privati è nettamente al di sotto (11%) della quota stabilita dalla legge regionale n° 13 del 1999 (40%).

La procedura oggi sotto i riflettori è tutt’altro che conclusa. Per due ragioni. La prima è che toccherà alla conferenza dei servizi dire la parola conclusiva, e in quella sede saranno presenti altri soggetti oltre al Comune. La seconda è che il parere della Soprintendenza non può essere bypassato tanto facilmente, essendo oltretutto molto dettagliato. Pur lamentando come i progetti sottoposti all’esame siano ancora di “massima”, si sottolineano fin da ora quattro punti critici.

Intanto, “occorre garantire” un limite alla dislocazione all’estensione dei pontili previsti, perché “non sia alterata l’attuale conformazione del porto rifugio”. La risagomatura della scogliera sotto il Castello “deve essere dimensionata con maggiore attenzione al mantenimento dell’identità dello specchio acqueo e degli aspetti storici e naturalistici presenti nell’area”. I nuovi volumi presenti nell’area del retroporto vanno attentamente valutati per “non compromettere le visuali e i caratteri tipologici del contesto tutelato”. Infine, proprio per il retroporto, “si segnala la necessità di provvedere ad attivare la procedura di verifica dell’interesse culturale” prevista dall’articolo 12 del Codice dei Beni Culturali.
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