Avrà il segno negativo per oltre 22 milioni di euro la differenza tra costi e valori della produzione della Siae, la Società italiana autori ed editori, nel 2015. Ancora una volta, quindi, la Società – peraltro sempre che le prognosi ottimistiche che sembrano aver guidato la redazione del bilancio preventivo [ndr bilancio prima pubblicato sul sito a questo indirizzo, anche se con in calce l’indicazione del carattere riservato della pubblicazione (sic!) e poi, successivamente rimosso, forse a seguito della segnalazione sulle immagini “pirata] si avverino – costerà di più di quanto riuscirà a produrre. Quasi 179 milioni di euro di costi per generare ricavi per 156 milioni di euro.

Numeri che raccontano di un’inefficienza che ha dell’incredibile per una società che opera in un regime di “quasi-monopolio”, in un mercato da centinaia di milioni di euro all’anno.

Ma la società prevede di chiudere il bilancio, ancora una volta, con un modesto utile che stima in poco più di 7 milioni di euro o in poco più di 3 milioni di euro se decidesse di intraprendere – e non è dato capire come potrebbe non intraprendere – una serie di interventi, definiti nello stesso bilancio preventivo, “a sostegno della base associativa” e “di modernizzazione ed efficientamento della Società”.

Il “trucco” capace ribaltare – anche se solo all’apparenza – i numeri della Società e di consentirle di chiudere in attivo pur spendendo, per l’intermediazione dei diritti d’autore, più di quanto ricava è sempre lo stesso: incassare una montagna di soldi quale corrispettivo di servizi completamente estranei alla sua attività principale di intermediazione dei diritti d’autore e soprattutto incassarne altrettanti a titolo di proventi finanziari, ricavati grazie ai tempi di abnorme lentezza, con i quali la società ripartisce quanto incassa tra gli aventi diritto.

Sarà, infatti, di quasi 34 milioni – secondo lo stesso bilancio preventivo – il saldo della gestione finanziaria della società e pari ad una cifra analoga 33,3 milioni di euro quello delle attività che la Siae svolge in concessione per una serie di enti pubblici quali, tra gli altri, l’Agenzia delle entrate che, da sola, verserà alla società 28,4 milioni di euro. Senza questa montagna di denaro alta quasi 70 milioni di euro il bilancio preventivo 2015 segnerebbe un rosso fisso ed evidenzierebbe un buco da decine e decine di milioni di euro che imporrebbe – o, forse, avrebbe imposto già da tempo – a qualsiasi imprenditore di portare i libri in Tribunale e dichiarare il fallimento.

E i dubbi sul fatto che sia legittimo che una società cui la legge attribuisce un’esclusiva sul mercato dell’intermediazione dei diritti d’autore possa restare a galla grazie a profitti provenienti da altri mercati così come grazie ai proventi finanziari incamerati grazie alla lentezza con la quale ripartisce quanto incassa ai soggetti in nome dei quali agisce, non mancano o, almeno, non dovrebbero mancare. C’è – o, almeno, ci sarebbe a condizione di volerlo fare – lavoro tanto per le Autorità di vigilanza, tanto per il governo ed il parlamento che dovrebbero mettere mano, senza ritardo, ad una radicale riforma della disciplina del mercato e, tanto, anche per l’Antitrust che dovrebbe trovare almeno curioso che ente pubblico economico a base associativa cui la legge attribuisce un’esclusiva su un determinato mercato, operi, fuori da ogni dinamica concorrenziale, anche su altri mercati quale quello dei controlli fiscali.

Ma a navigare tra le pieghe del bilancio preventivo 2015 ci sono tanti numeri che danno da riflettere.

Per la prima volta, ad esempio, la Siae è costretta ad annotare, nero su bianco, che grazie ai recenti e contestati aumenti tariffari, nel 2015, incasserà, a titolo di cosiddetto compenso per copia privata, 117,5 milioni di euro contro i 67,1 incassati nel 2014. Tanti, tantissimi soldi sottratti ai consumatori ed al mercato It e incamerati dalla Siae per essere ripartiti – dedotto il proprio lauto “rimborso spese” – secondo dinamiche che sono e restano assai poco trasparenti.

E, tra i tanti, un altro numero che dovrebbe far riflettere è quello che da il polso di quanto poco sensata sia stata l’operazione con la quale la Società, negli scorsi anni, ha deciso di spogliarsi del proprio patrimonio immobiliare, facendolo convergere in un Fondo al quale è, oggi, costretta a pagare gli affitti anche per i propri uffici. Basta un numero per raccontare che si tratta di un’iniziativa meno illuminata di quanto non sia voluto lasciar intendere: i proventi del Fondo Norma nel quale sono confluiti gli immobili del patrimonio Siae, ammonteranno, nel 2015 a circa 6 milioni di euro mentre la Siae, spenderà, circa 12 milioni di euro – ovvero il doppio – nell’affitto degli immobili. Difficile credere che l’operazione immobiliare – che, pure, negli anni ha generato plusvalenze capaci di “imbellettare” i bilanci della Società – abbia davvero rappresentato un affare per le centinaia di migliaia di autori, grazie alla cui creatività, quel patrimonio immobiliare, è stato negli anni costituito. E a proposito del patrimonio immobiliare, pare che il Fondo Norma – nel quale venne fatto confluire – stia iniziando a cederne i “gioielli di famiglia”, a cominciare dal prestigioso immobile di Via Valadier, 37 a Roma che fu la sede della società e che, ora è in vendita.

Questo è molto di più racconta il bilancio preventivo 2015 della Siae, una società nata per rappresentare, difendere e promuovere i diritti e gli interessi degli autori e, oggi, divenuta un Gran Bazar che macina denaro altrui, ha enormi gambe d’argilla fatte da provenienti finanziari che non avrebbe se ripartisse in modo rapido ed efficiente quello che incassa e specula sul mercato immobiliare, “giocandosi”, un patrimonio enorme costruito grazie alla creatività di migliaia di autori italiani.

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