L’anno nuovo cominciato con le sconfitte casalinghe con Sassuolo e Atalanta, inframezzate dal brutto pareggio col Torino. 12 punti nelle ultime 12 partite, solo 6 vittorie nelle 19 partite del girone di andata per un mestissimo ottavo posto. Non bastano però i numeri a spiegare la profonda crisi in cui è sprofondato il Milan: l’ex club più titolato al mondo, ridotto a macchietta sui siti della stampa straniera per la decisione di vendere il pullman sociale per raggranellare qualche soldo. La crisi è tecnica, societaria, economica. E il male comune dei cugini interisti appaiati in classifica non porta ai tifosi rossoneri nemmeno quel mezzo gaudio: il futuro del Milan è rosso nei bilanci e nero nelle speranze.

LA SQUADRA – Al di là dei numeri, appunto, il problema è che Inzaghi non è mai riuscito a dare un gioco alla squadra, fondata sugli equivoci tattici dell’insistenza parossistica su un 4-3-3 tutto catenaccio e contropiede, e di uomini, come Menez falso nueve, De Jong regista, Montolivo e Bonera leader senza personalità. Il Milan avrebbe bisogno di un regista, una mezzala e un centravanti, eppure nel mercato di riparazione arriva l’ennesimo esterno offensivo (CerciSuso) e si cerca un terzino sinistro ai saldi. Perché la proprietà da tempo ha imposto i parametri zero, vecchie glorie azzoppate cui devi riconoscere un ingaggio spropositato e che impediscono il necessario ricambio generazionale. Inzaghi poi è un allenatore dimezzato, imposto da Adriano Galliani e sofferto da Barbara Berlusconi che l’anno scorso, mentre era in vantaggio nella lotta per il controllo del club, impose il suo Seedorf defenestrato dopo soli sei mesi dai sodali del suo rivale. Perché il vero problema della squadra, per gli effetti deleteri delle sue ripercussioni, è il conflitto latente tra le due anime del club: esploso due anni fa e mai più ricucito.

LOTTA DI CLASSE – BB entra nel Milan nell’estate del 2011, quando capisce che in Mondadori (Marina) e Mediaset (Piersilvio) per lei non c’è spazio, e subito tenta la scalata al club circondandosi di fidati collaboratori. Ma non è facile. Dall’altra parte c’è AG, ex sodale del padre dai tempi delle antenne installate per la Brianza, che da trent’anni siede saldamente in plancia di comando. Il conflitto emerge nell’estate 2012 per poi esplodere fragoroso nell’autunno 2013, con un durissimo comunicato all’Ansa. La sfida di BB è lanciata: AG è il passato, il Milan è mio. Terremoto. Si paventano le dimissioni del plenipotenziario, un licenziamento con una buonuscita di oltre 50 milioni. Poi in inverno arriva la decisione salomonica del padrone, società divisa in due: a BB il commerciale, ad AG la parte tecnica. Eppure Barbara sembra avere vinto, a gennaio esonera Allegri e impone Seedorf, il suo prescelto, contro Inzaghi, l’uomo del rivale. Ma dura poco, in estate tra dossier e spifferi alla stampa il tecnico olandese è licenziato (resta stipendiato per 5 milioni l’anno fino al 2016) e arriva il rovesciamento di fronte con la panchina a Super Pippo.

LA PRESA DEL PALAZZO D’INVERNO – Sembra una decisione trovata di comune accordo, ma il conflitto continua sottotraccia, nelle segrete stanze della nuovissima Casa Milan: i fedelissimi di AG (dopo Braida anche Gozzi, Masi, Massaro) sono sostituiti da quelli di BB (Pavone, Kalma). Fino al nuovo comunicato, rilasciato all’Ansa domenica. “Inaccettabile perdere contro squadre i cui giocatori guadagnano cinque volte di meno”, firmato Silvio Berlusconi. Eppure il patron lunedì chiama Galliani e Inzaghi e smentisce, mai dette quelle cose. E allora nell’ambiente rossonero il dubbio si fa quasi certezza, il comunicato sarebbe stato diffuso da BB, è il secondo dopo quello dell’ottobre 2013. E’ l’assalto finale, la spaccatura tra i due eterni duellanti non è più ricucibile, BB ha preso il Palazzo d’Inverno. Silvio Berlusconi, impegnato a negoziare leggi elettorali con salvacondotti fiscali, abbozza: un Milan in crisi per l’immagine sua e di Forza Italia è più deleterio della fronda interna di Fitto.

IL FUTURO – Ma quella di BB potrebbe essere una vittoria di Pirro. Come a ogni crisi rossonera tornano ciclicamente i rumors di una prossima e possibile cessione del club. Da tempo si fanno i nomi più disparati, improbabili sceicchi e ancor più improbabili oligarchi amici di Putin, ma nessuno si è mai fatto avanti davvero. Gli investitori stranieri scappano quando c’è da investire nel (calcio del) Belpaese, e non certo per il costo del lavoro o per l’articolo 18: basta guardare i bilanci delle aziende per darsela a gambe levate. I casi di Roma e Inter potrebbero preludere a un cambio di tendenza, o rimanere eccezioni che confermano la regola. Oggi Silvio Berlusconi smentisce di volere vendere il club, ma il marchio si sta deprezzando, Fininvest (che a giugno ha chiuso il bilancio 2013 con passivo di 428 milioni dopo i 285 del 2012) copre ogni anno perdite per 50-100 milioni, Marina e Piersivlio vogliono liberarsi di quello che da asset dell’immaginario fondamentale per la carriera politica del padre oggi si è tramutato in una pesante zavorra.

I SALDI DI UN’EPOCA – Il prezzo? C’è chi dice 800 milioni, chi scende a 500, ma potrebbe essere molto più basso. Se nell’ultimo bilancio 2013 il passivo era di “soli” 15 milioni, questo non comprendeva però l’altissima esposizione debitoria di oltre 250 milioni. Quest’anno poi, oltre al deprezzamento della rosa (vedi l’acquisto dei parametri zero) la mancata qualificazione in Europa dovrebbe costare altri 50-60 milioni, cui va aggiunta la necessità di ridurre i costi per rientrare nei parametri del Fair Play Finanziario. Ecco perché anche la cifra minima di vendita di 490 milioni (ovvero il corrispettivo del Lodo Mondadori) sembra irraggiungibile, e appaiono più prossimi i 250 milioni (nel caso del Milan con l’aggiunta dell’accollo dei debiti) pagati da Thohir per l’Inter. Certo che poi presentarsi al futuro compratore come squadra che fa catenaccio, senza un centravanti di nome e di fatto e con Suso e Cerci come unici nuovi acquisti, non è un grande spot pubblicitario.

Twitter @ellepuntopi

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