L’Agenzia nazionale di ricerca e soccorso dell’Indonesia ha trovato nelle acque del Mar di Giava, al largo della parte indonesiana del Borneo, rottami del volo AirAsia disperso domenica tra Giava e Singapore con 162 persone a bordo. E in mare, a 10 chilometri dal punto da cui sono state ricevute le ultime comunicazioni del volo 8501 con il controllo del traffico aereo, sono stati anche trovati corpi, una quarantina dei quali sono stati recuperati. Lo hanno reso noto fonti ufficiali indonesiane. Già nella giornata di lunedì l’ipotesi era che l’Airbus A320-200 si fosse inabissato. Martedì i soccorritori hanno individuato al largo della costa Kalimantan una porta di emergenza e altri pezzi del velivolo. “Abbiamo rilevato circa dieci oggetti di grandi dimensioni e molti altri di piccole dimensioni di colore bianco che non siamo riusciti a fotografare”, ha riferito un portavoce militare indonesiano, Agus Dwi Putranto. Poi il direttore generale dell’aviazione civile indonesiana, Djoko Murjatmodjo, ha detto di poter “confermare che si tratta dell’aereo dell’Air Asia” e che “il ministro dei Trasporti partirà a breve per Pangkalan Bun”, nella zona dove sono stati ritrovati i detriti.

Un portavoce della Marina indonesiana ha fatto sapere che oltre 40 cadaveri sono stati recuperati e trasportati sulla nave da guerra Bung Tomo. Non indossavano giubbotti di salvataggio. Il portavoce della marina militare Manahan Simorangkir ha confermato la scoperta a TvOne, aggiungendo che sono state trovate diverse vittime. Nelle immagini trasmesse dalla tv si vede un corpo rigonfio seminudo ondeggiare in acqua.

In precedenza, anche gli Stati Uniti avevano annunciato l’invio di un cacciatorpediniere, la Uss Sampson, verso la zona delle ricerche dell’airbus. La Uss Sampson “è stata inviata per aiutare nelle operazioni di ricerca del volo 8501 dell’AirAsia”, conferma da parte sua il portavoce del Pentagono, John Kirby, sul suo account Twitter.

La scomparsa del volo AirAsia è la terza tragedia aerea che ha colpito quest’anno l’aviazione civile malese. L’8 marzo è scomparso il Boeing 777 di Malaysia Airlines, decollato da Kuala Lumpur e diretto a Pechino, con 239 tra passeggeri e membri dell’equipaggio a bordo. Le prime operazioni di ricerca su grandi zone dell’Oceano indiano non hanno permesso di avvistare neppure un detrito. Dopo quattro mesi di interruzione, le perlustrazioni sono riprese il 3 ottobre con l’utilizzo di strumentazioni più sofisticate, tra cui sonar, telecamere e sensori per il carburante aereo, a bordo di tre navi che rimarranno per un anno nell’oceano, a circa 1.800 chilometri dalla costa australiana. Nella zona in cui opereranno, vasta circa 60mila chilometri quadrati, si trova il cosiddetto ‘settimo arco’, una curva lungo la quale gli esperti ritengono che l’aereo potrebbe aver finito il carburante ed essere quindi precipitato.

Quattro mesi dopo, il 17 luglio, il volo MH17 di Malaysia Airlines è stato abbattuto mentre sorvolava le zone orientali dell’Ucraina, in mano ai ribelli filorussi. Sul Boeing si trovavano 298 persone, tutte morte nello schianto. L’aereo era partito da Amsterdam in Olanda ed era diretto a Kuala Lumpur. Secondo gli investigatori olandesi, è stato probabilmente colpito da diversi “oggetti ad alta energia”, che alcuni esperti ritengono compatibili con un missile. Le squadre internazionali che stanno tentando di recuperare i resti e salvare le prove hanno incontrato difficoltà nel raggiungere il luogo dello schianto a causa degli scontri tra il governo di Kiev e i separatisti filorussi.

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