londraEd è Natale anche a Londra. Un Natale fatto di giocattoli di Hamleys, di cosmetici di Harrods e del faccione di Ben Stiller – sempre in forma, nonostante le notti insonni trascorse al museo – che illumina le fredde giornate di milioni di persone, a caccia in Oxford Street, mentre gli shelters chiudono i battenti, per non straripare. E’ un Natale di mulled wine, stuffed turkey con cavolini di Bruxelles e tuberi straordinari, di sandwich coileftovers, pudding caldo e discorso della regina.

Ma, a Londra, Natale vuole anche dire vomito. Tanto vomito e tanta bile, che si riversan come fiumi di eggnog, in ogni nicchia e in ogni dove, che neanche un happy-hour di mercoledì, in un quartiere studentesco. Vomito nei pressi di un lampione o di un bidone, di un segnale o un marciapiede. E non importa quale nazionalità, cultura o tradizione. Il vomito è un’idea, un concetto, un’espressione.

E’ il vomito del Bene. Il vomito che porta pace e libertà, dopo il giogo di festeggiamenti e libagioni. Quando la gioia e il calore degli affetti, fluidificano il balsamo di sangue ed alcool che scorre nelle vene e lo rendono più acceso, più vivo, più vibrante… Fino a che il vortice di emozioni sale e sale, in bocca e sulle labbra, e sgorga solido e sicuro. E’ un grido ilare di amicizia e di amore. E’ il voler rivivere quei momenti ancora e ancora… E ancora… E anc… Anc… Ancora. E’ il segno di un’intima condivisione, assai più intima dei boxer vermigli col pacco regalo. O il regalo sul pacco. Ci si tiene per mano – o per la fronte – con i propri amici e cari, improvvisando un ballo sciolto e sinuoso, lungo le siepi, dove il verde e il giallo dipingono la notte di grumi e sfumature inaspettate.

Si è felici. Si è felici e lo si dimostra, giocando scanzonati ‘alla Settimana’, fra un doner kebab e un tikka masala, rivisitati e corretti, che lasciano il marchio indelebile dell’affetto natalizio, sul cemento freddo e inospitale. Adorniamo questa citta! Luci e addobbi che brillano sospesi, son troppo materiali, troppo rigidi e distanti… Vogliamo di più. Rivestiamo questa Capitale di succhi e umori veri, umani, viscerali. Rendiamole il fermento che ci scalda il cuore ed il piloro.

May there be vomit. E che ci avvolga in un abbraccio di tepore vivido e speziato. May there be vomit. Ma anche chewing-gum. And piss. E speriamo che all’alba, poi, quando fumi e nebbia si diradano, non ci sovvenga mai che, in questa città, noi ci viviamo.

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