Ergastolo e isolamento diurno per almeno sei mesi. E’ questa la condanna che il pm Roberto Furlan ha richiesto alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Pietro Capello nei confronti di Francesco Furchì, imputato per l’omicidio volontario di Alberto Musy, l’ex consigliere comunale dell’Udc di Torino che, il 21 marzo 2012, fu freddato da un uomo col casco che, dopo averlo pedinato, gli sparò cinque colpi di pistola nel cortile della sua abitazione. Assassinio che venne ripreso dalle telecamere di sorveglianza di alcuni negozi della zona centrale del capoluogo piemontese. Secondo l’accusa, il movente alla base dell’omicidio ci sarebbero il mancato ottenimento di cariche politiche e, soprattutto, il mancato impegno da parte di Musy a reperire dei finanziatori per la “scalata” ad Arenaways.

Furchì, in carcere dal 30 gennaio 2013 e che si è sempre dichiarato innocente, non era presente in aula durante la richiesta di pena da parte del pubblico ministero. Nella sua requisitoria, il pubblico ministero Furlan ha spiegato come “in questa vicenda Musy ha pagato la sua inesperienza in politica. Per chi si avvicina al mondo politico, come Musy, è essenziale soppesare le persone che ti circondano. Questa vicenda è successa perché Musy ha sbagliato a soppesare Furchì, lo considerava pittoresco, e si è comportato nel modo sbagliato, non in assoluto, ma intendo dire sbagliato con la persona sbagliata. Furchì era la persona sbagliata. Musy ha usato un atteggiamento che in politica poteva essere inteso come stare sul filo della diplomazia, del compromesso, della pacificazione. Ma questo è stato il motivo per cui è morto“.

Il pubblico ministero ha poi concluso invitando la Corte a collegare tutte le prove che, così, farebbero apparire la colpevolezza di Furchì “veramente banale“: “Rivolgo una preghiera alla Corte – ha concluso Furlan – Questo processo è molto complesso. Non vorrei che si facesse solo l’equazione che difficoltà equivalga a difficoltà della prova. Questo potrebbe capitare perché il processo è indiziario, e poi con il fatto che la risonanza mediatica c’è, ed è forte, i suoi cardini di prova sono noti a tutti e diventano elementi difficili da apprezzare e approfondire proprio perché sono vicende molto note a tutti”.

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