Ormai è chiaro anche ai ciechi: l’euro ci fa male, blocca l’economia, provoca recessione e disoccupazione. L’euro è una moneta strutturalmente deflattiva, è un marco tedesco mascherato da valuta europea. Impedisce i necessari aggiustamenti valutari – rivalutazioni da una parte e svalutazioni dall’altra. La moneta unica aumenta la divisione tra paesi forti, che guadagnano dall’euro, e paesi deboli, che rischiano di soffocare nel debito e di fallire.

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Ma uscire unilateralmente dall’euro, come propone l’economista Alberto Bagnai, quasi certamente ci farebbe ancora più male. Lasciare l’euro per tornare alla lira è molto più problematico che uscire da un sistema di cambi semi-fissi, come era per esempio il Sistema Monetario Europeo. L’uscita unilaterale dall’euro, cioè dalla seconda valuta mondiale di riserva, rischia di produrre traumi economici e geopolitici dalle conseguenze imprevedibili; e, comunque, molti cittadini italiani sono contrari perché temono di vedere svalutati risparmi, stipendi e pensioni.

Occorre una soluzione per aggirare l’ostacolo. Con Luciano Gallino, Biagio Bossone, Marco Cattaneo e Stefano Sylos Labini, abbiamo elaborato una proposta per cercare di uscire da questo tunnel rovinoso. E la stiamo sottoponendo a tutte le forze politiche e sociali. Proponiamo una nuova (quasi)moneta nazionale, i Certificati di Credito Fiscale, ovvero uno sconto differito su tasse e tributi vari. Il nuovo strumento creato dallo Stato per ridurre il peso fiscale arriverebbe direttamente e gratuitamente al lavoro e alle aziende senza creare nuovo indebitamento, bypassando le banche.

L’introduzione dei Ccf per decine di miliardi contrasterebbe l’austerità imposta dalla Ue e il blocco del sistema creditizio che, a causa della crisi, non concede più crediti alle famiglie e alle imprese. Il governo lancerebbe una moneta complementare (ma non sostitutiva) all’euro. L’obiettivo è di uscire dalla trappola della liquidità con uno shock monetario, di creare nuova domanda per fare ripartire l’economia. Proponiamo di aumentare il potere d’acquisto per i cittadini e le imprese diminuendo le tasse senza tagliare la spesa pubblica. L’operazione potrebbe anche non essere particolarmente complicata.

Proponiamo che lo Stato italiano emetta gratuitamente a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi, delle imprese e dei disoccupati Certificati di Credito Fiscale ad utilizzo differito, validi cioè a partire dopo due anni dall’emissione, per pagare qualsiasi tipo di impegno finanziario verso la pubblica amministrazione (tasse statali e locali, contributi, multe, etc.). Il governo italiano emetterebbe Ccf per 90-100 miliardi il primo anno, da incrementare poi nel corso dei due anni successivi in relazione alle dinamiche inflattive e dell’occupazione fino a un massimo di 200 miliardi di emissioni annue. L’assegnazione dei CCF dovrebbe privilegiare quelle imprese che si impegnano ad assunzioni nette di disoccupati, ovvero si impegnano in opere pubbliche urgenti (per il riassetto idrogeologico, il risanamento delle scuole e ambientale, etc.) da avviare immediatamente.

La soluzione dei CCF è giuridicamente ineccepibile e difficilmente contestabile in sede Ue: infatti, solo la Banca Centrale Europea è l’emittente esclusiva della moneta corrente dell’Eurozona ma ogni Stato ha il diritto di offrire sconti fiscali, e quindi anche i Ccf. Lo Stato è sovrano in campo fiscale. La Bce ha il monopolio sulla emissione della moneta unica ma non ha il monopolio sulla creazione di strumenti di “quasi moneta”, cioè, per esempio, i depositi bancari, i titoli di stato, e, appunto, i Ccf.

I Ccf sarebbero scambiabili sul mercato finanziario analogamente a qualunque altro titolo emesso dallo Stato; inoltre potrebbero costituire mezzi di pagamento immediato (da usare per esempio anche mediante carte di credito). I Ccf diventerebbero rapidamente una nuova moneta: i lavoratori venderebbero a sconto i Ccf alle imprese in cambio di euro da spendere. La domanda ripartirebbe immediatamente. Così sarà possibile avviare un circolo virtuoso con effetti moltiplicativi positivi: domanda che espande la produzione, quindi l’occupazione, quindi ulteriormente i redditi e la domanda, etc. La forte crescita della domanda non aumenterebbe però l’inflazione a livelli eccessivi – anzi, impedirebbe la caduta dell’economia italiana in una situazione di deflazione cronica – grazie al recupero delle risorse produttive (lavoro e capitale) attualmente drammaticamente sottoutilizzate.

La quota di Ccf immessa a favore delle aziende in quantità commisurata ai costi di lavoro rappresenterebbe una significativa riduzione dei costi di produzione. L’aumento delle importazioni legato ai Ccf sarebbe bilanciato da una crescita delle esportazioni derivato dalla diminuzione del costo del lavoro e dall’aumento conseguente di competitività.

Per effetto del moltiplicatore del reddito, il calo delle entrate pubbliche legato allo sconto fiscale differito dei Ccf verrebbe più che compensato dall’aumento dei ricavi fiscali prodotto dal forte recupero del Pil. Il Pil e l’occupazione crescerebbero quindi velocemente. I deficit e il debito pubblico diventerebbero più facilmente sostenibili, con beneficio per i creditori nazionali e internazionali.

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