Dietro i cambiamenti, le rivoluzioni, le storie d’amore, – quando funzionano – si scorge sempre un progetto composto da un disegno in divenire. I primi tratti si manifestano nell’emotività di un brivido, nei quaderni di scolaro, nelle sovversive pagine dell’adolescenza.

Il progetto, per realizzarsi, deve essere coltivato, alimentato, portato avanti con perseveranza e determinazione. Con coraggio. Nutrito con linfa incontaminata, mai svenduto a quello che sembra il miglior offerente ma in realtà è soltanto un ciarlatano.

Abito una città che di un progetto avrebbe estremo bisogno. Non inutili aleatori falsi propositi, che l’ingannano da sempre sul filo delle elezioni. Promesse vane mi fecero sperare a vent’anni in un sindaco verde, il cui ambientalismo si rivelò appena poche ore dopo la nomina solo marketing. Lo stesso uomo, invece di eclissarsi, provò a rifiorire in quell’aprile – già trafitto alle politiche – in cui i romani, pur di non rieleggerlo, preferirono la camicia nera che ci ha fatto sprofondare in quella che pensavamo fosse la peggior amministrazione possibile. Ma perché porre limite al peggio?

In mezzo c’era stato un po’ di cinema, che avrebbe potuto funzionare se fosse stato di qualità e accompagnato da interventi efficaci nella vita vera. Il risultato comunque è una città agonizzante. Così per curare Roma moribonda abbiamo scelto un medico. Certo uno che viene da esperienze negli Stati Uniti, non in Uruguay. Ormai lo riconosce anche la medicina ufficiale, nel successo di una cura è determinante l’umore, la voglia di vivere, e per questo ci vuole slancio, motivazione. La politica, quella vera, quella che trae etimologia – guarda un po’- proprio da città, deve misurarsi con lo stato di salute di ogni singolo cittadino, cominciando con chi per incuria e disattenzione ha troppo a lungo emarginato.

Dovere di un sindaco quindi è compiere gesti coraggiosi, decisi, scomodi, impopolari, ma audaci. Magari farsi odiare all’inizio, ma stupire con i risultati, con la meraviglia. La meraviglia di un fiume che si naviga, di una città sostenibile e ciclabile (perché sono molti coloro che con la bici si muovono davvero), di spazi verdi e aria.
Deve far sognare.

Questo sindaco è sicuramente riuscito nell’impresa di essere impopolare e odiato da tutti. In questo il risultato è stato incredibilmente democratico. Dalle sue alle nostre contravvenzioni, dalla sua Ztl alla nostra aumentata, dal suo parcheggio gratuito al nostro moltiplicato; poi ci sono gli incidenti avvenuti non per colpa sua –come la tanto attesa metro C che si inchioda dopo solo 11 minuti di corsa all’inaugurazione – ma che hanno innescato nel romano superstizioso l’idea che il sindaco porti pure male.
Non vogliamo un nuovo mandato, ma un nuovo e basta, magari un visionario che sappia progettare e realizzare il nostro sogno.

Questa capitale sporca, abbandonata, sonnolenta, paradigma di un Paese affamato, ha bisogno di pane e di rose, così come appunto ogni rivoluzione e ogni storia d’amore.

di Federica Morrone

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